L'analisi
In Africa l’Europa è distratta dai flussi migratori: gli Stati che crescono trascurati dall’Occidente
Da diversi anni l’attenzione italiana nel continente africano si concentra su due aree considerate prioritarie, cioè il Corno d’Africa ed il Sahel. Per l’Africa orientale, oggi come ieri, vale la considerazione storica, che più prosaicamente chiameremmo il retaggio coloniale, se non fosse che il politically correct adesso non consente di definirlo così. Anche per la regione del Sahel l’interesse italiano è antico; già negli anni ‘80, la nostra cooperazione ed il dimenticato Fondo Aiuti Italiani dedicarono centinaia di milioni di lire alla lotta contro la siccità saheliana, e per il progresso delle comunità locali. Per questa seconda area mancò tuttavia una retorica politica di accompagnamento: il Sahel andava aiutato perché era povero, e preda della siccità e della carestia, non perché ci fosse un’ambizione strategica di protagonismo, sempre presente invece nel Corno.
Il mediterraneo allargato
Con la disintegrazione della Libia nel dopo Gheddafi, che in forme più o meno attenuate prosegue ancora oggi, i nostri politici si resero conto che la frontiera mediterranea italiana era di fatto scesa al livello del Sahel, sia per quanto riguarda i flussi migratori da tenere sotto controllo, sia per i pericoli del terrorismo jihadista, che trova in quell’area uno dei suoi più proficui campi di azione. Nacque così il concetto, relativamente recente, di “Mediterraneo allargato”, che identifica, con voluta vaghezza, un territorio molto vasto, esteso grosso modo proprio dal Sahel al Corno d’Africa, dove l’Italia intende operare affermando i suoi interessi strategici. Oggi che al “Mediterraneo allargato” si sovrappone l’iniziativa del Piano Mattei, con le sue progettualità in corso d’ opera, le regioni del Sahel e del Corno d’Africa restano comunque politicamente prioritarie, per gli stessi motivi prima citati: tentativo di controllo dei flussi migratori irregolari, ed auspicio di condurre in porto buoni affari in un’area di influenza storica indiscussa.
Economie disastrate
Se però andiamo a scandagliare il fondo, possiamo constatare come entrambe le regioni per noi prioritarie versino in uno stato estremamente critico, quasi comatoso, sotto tutti i profili: politico, economico, sociale e culturale. Tre dei cinque Paesi saheliani, Mali, Burkina Faso e Niger, insieme alla Guinea poco lontana, sono governati da Giunte militari a seguito di ripetuti colpi di Stato, che sembrano aver riportato indietro l’orologio africano agli anni ‘70-‘80 del secolo scorso, quando il golpe dell’esercito era quasi la regola politica del continente. Purtroppo, più militari al potere non ha significato finora più sicurezza, più crescita, più progresso, ma esattamente il contrario: minacce del terrorismo jihadista sempre più vicine alle rispettive capitali; flussi migratori fuori controllo; economie più che mai disastrate; povertà in aumento; scuole ed ospedali che non funzionano; comunità rassegnate quotidianamente al peggio.
Somalia lacerata
Non migliore appare la situazione dei Paesi del Corno d’Africa: il Sudan si dibatte da oltre un anno in una guerra civile fra due eserciti rivali, che ha causato finora oltre 150 mila morti, 7 milioni di profughi ed una grave carestia provocata dall’uomo; l’Etiopia non pare in grado di superare né le profonde tensioni e rivalità etniche interne che ormai la caratterizzano da oltre cinque anni, né una crisi economica di proporzioni enormi, che risale alla devastante guerra interna con il Tigray; l’Eritrea rimane uno dei Paesi più isolati, poveri, e controversi del pianeta, sotto la guida di un leader mai sottopostosi in trenta anni al giudizio elettorale; la Somalia, malgrado qualche lieve miglioramento, continua ad essere preda di attacchi degli Al Shabaab, ed a sua volta lacerata fra clan e leader locali.
Africa, gli stati che crescono trascurati dall’Occidente
Mentre le due aree prioritarie per l’Italia attraversano quindi una delle più profonde crisi della loro storia, viene da chiedersi dove sia allora quell’Africa che cresce, che si ammoderna e che si industrializza, a cui fa spesso riferimento la narrativa attuale. Ebbene, quell’Africa esiste, ma in zone che noi tendiamo a trascurare, per quelle miopie tipiche dei tempi attuali, in cui ogni analisi ha il respiro di un tweet. Quell’Africa porta il nome di Paesi che sono ben governati, ed ancora fedeli al cosiddetto “rule of law” e alle rispettive costituzioni; in cui i Governi perseguono la pace e non la guerra; in cui l’economia è in visibile crescita; in cui i militari stanno nelle caserme, e intervengono solo in caso di vero bisogno; in cui le scuole insegnano e gli ospedali, seppure fra mille difficoltà, curano; in cui giovani mantengono delle speranze; e le donne ricevono rispetto, e talora governano anche.
Quell’Africa, dove sebbene con qualche difficoltà e contraddizione, prevalgono ancora i nostri stessi valori portanti di buon Governo e relativa libertà, si trova in Tanzania; in Botswana; in Namibia; in Ghana; in Costa d’Avorio; in Zambia; in Senegal; in Mauritania; in Angola; in alcuni Paesi della Costa atlantica; nelle isole di Capo Verde, Mauritius e delle Seychelles; ed in misura minore, in Kenya, malgrado le recenti contestazioni popolari; in Sud Africa; a Gibuti; in Uganda, ed in qualche altro Stato del Continente. Paradossalmente, questi Paesi non ricevono le attenzioni che meriterebbero dall’Occidente, dall’Europa e dall’Italia, in termini di finanziamenti, collaborazioni economiche, investimenti, proprio in un momento in cui appare più che mai vitale, considerate le competizioni della Russia, della Cina, dell’Iran e dei Paesi del Golfo, poter contare su solide ed affidabili relazioni nel Continente, radicate in princìpi comuni.
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