Il decreto anti-Ong
Intervista a Edith Bruck: “Ora attaccano i migranti, poi toccherà agli ebrei”
Di origine ungherese, Edith Bruck è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nei suoi libri ha reso testimonianza dell’evento nero del XX secolo. Ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Il più recente Sono Francesco (La Nave di Teseo). Un libro che tocca le corde dei sentimenti e della ragione. “Nel febbraio 2021 Edith Bruck – è la spiega del libro – riceve a casa la visita eccezionale di Papa Francesco, colpito dalla Lettera a Dio che la scrittrice ha appena pubblicato. L’incontro storico tra il Pontefice e Edith è nel segno dell’emozione e del dialogo tra due tradizioni, quella cattolica e quella ebraica, unite dalla parola ma divise dagli orrori del ventesimo secolo”.
“Finché avrò fiato – ci dice – continuerò ad andare avanti e a raccontare, a testimoniare; per oggi, per domani e per il futuro dei giovani, perché i ragazzi devono capire cosa vuol dire la solidarietà, l’accettazione, la non discriminazione. Ricevo centinaia di lettere, disegni, messaggi dai giovani e questo mi rende felice perché è un segno di speranza. Bisogna educare fin da bambini che valiamo tutti allo stesso modo e di accettare e rispettare le diversità altrui”. Un passato che non passa: “Guardate quante manifestazioni di odio e di antisemitismo oggi vengono svolte alla luce del sole. Io credo che viviamo un tempo pericoloso. Si è cominciato ad attaccare gli immigrati, e gli ebrei rischiano di essere i prossimi, perché l’antisemitismo è una costante. Si attaccano i poveri, gli immigrati, ma alla fine si arriva a noi”.
È così difficile mantenere in vita la memoria della Shoah?
Io vivo della memoria. Non faccio altro con migliaia di ragazzi: parlare, raccontare. Con loro frequento il futuro. Ma c’è una cosa che mi rattrista…
Qual è questa cosa?
Il fatto che sembra toccare soltanto a noi sopravvissuti questo terribile, impegnativo lavoro. Come se Auschwitz riguardasse solo noi. E non tutta l’Europa, l’Italia, l’Ungheria, la Francia…. Auschwitz riguarda tutto il mondo. Perfino gli americani e gli inglesi che sono intervenuti troppo tardi, ritenendo la liberazione dei campi un obiettivo secondario della guerra. Nessun paese, tranne in parte la Germania, ha fatto i conti col passato, anzi oggi molti negano le proprie responsabilità.
Lei continua a incontrare in tutta Italia migliaia di giovani. Che idee si è fatta di loro?
Ho una esperienza molto positiva con i giovani. Ne ho incontrati a migliaia, anche duemila insieme. Loro hanno bisogno di sentire. Hanno bisogno di sapere. Hanno assolutamente bisogno di capire quel che è accaduto perché non è stato loro né spiegato né insegnato, in famiglia o nella scuola. Perché insegnano poco e male. Perché dopo la guerra hanno tentato immediatamente, non soltanto attraverso il negazionismo, di sminuire, rimuovere. Nessun Paese ha avuto il coraggio di confrontarsi col proprio passato. Vale anche per l’Italia. Per non parlare dell’Ungheria che da fascista si reinventò subito comunista. I popoli si sono adattati al potere del momento. In questo senso, non c’è alcun cambiamento. E oggi mi fa paura la destra che dilaga in Europa, il razzismo e le discriminazioni. Una destra, come quella che adesso governa l’Italia, che cavalca le paure e dice quello che la gente aspetta di sentirsi dire.
Non è inquietante l’odio che si manifesta di questi tempi contro i più deboli e indifesi, come i migranti?
È una cosa molto grave. Grave per ciò che produce, anche a livello politico. E per ciò che sottende: l’indifferenza dei popoli. Vede, l’indifferenza alimenta il razzismo, ne è socia fondatrice. Non si rispetta l’altro come una persona umana, di qualsiasi colore o religione sia. C’è uno smarrimento generale nei vari Paesi, compresa l’Italia. Non c’è una voce, una figura di riferimento oggi. Anche questo è un grosso problema. Come il salire sul carro del vincitore di turno. Adesso dicono che Giorgia Meloni è intelligente, vedremo cosa farà. Tutti dispensano “buonismo”. E non c’è giudizio. Non c’è una voce che si alzi per chiamarsi fuori dal coro dei “buonisti”. E la sinistra dove è andata? Che cosa sta facendo? Non pervenuta.
Una voce alta e forte che si leva in difesa dei più indifesi è l’uomo di Chiesa con cui lei ha scritto un libro bellissimo: Papa Francesco.
Francesco ha fatto molto per quel che può fare un Papa. Lui è voluto venire a casa mia e chiedere scusa non per l’antisemitismo nazista o fascista ma per la persecuzione ebraica di duemila anni che ha partorito Auschwitz. Senza questa persecuzione millenaria della Chiesa, Auschwitz non poteva mai realizzarsi. Con questa visita, lui voleva lanciare un messaggio molto forte e in discontinuità col passato. I due papi precedenti, cosa che ha fatto anche Francesco in seguito, si sono recati alla Sinagoga e tutto è rimasto dentro quelle quattro mura. Lui è venuto a trovarmi a casa e dopo dieci minuti mezzo mondo mi ha chiamato. Papa Francesco voleva lanciare in quel modo un messaggio al mondo. Una cosa unica.
C’è un segnale, una scintilla di speranza che illumina questi tempi così bui?
Assolutamente sì. Quella luce di speranza sono i giovani. Non sono d’accordo con quanto detto qualche giorno fa dalla mia amica Liliana Segre, che non rimarrà nulla quando noi sopravvissuti, due o tre testimoni rimasti scompariremo, che dopo di noi non resterà nulla, dimenticheranno tutto. Non lo credo. Come le ho detto, sono stata in molte scuole, prima del Covid, e ho incontrato diversi professori che mi hanno detto: “Signora Bruck, si ricorda quando, io piccolo, lei è venuta nella mia scuola?”. Questi professori insegneranno la storia diversamente da quelli di prima. Qualcosa cambierà. Non morirà tutto. Non muore mai tutto. Mai. Non è che sono diventata cieca e non vedo le brutture del mondo. Ma non credo che la nostra voce, i nostri libri saranno dimenticati.
Le fa paura quel vento di odio che spira in Europa e nel nostro Paese?
Detesto la parola odio. Io non odio nessuno al momento, per carità. Non ho odiato neanche quelli della Hitlerjugend, la Gioventù Hitleriana, che mi sputavano addosso. Non posso odiare nessun essere umano. Non parlerei di odio. Ma di frustrazione, solitudine, non comunicazione, demonizzazione che poi si traducono in qualcosa che si avvicina all’odio. L’odio è quello tra russi e ucraini che fanno la guerra. Quello è odio, odio cieco, senza senso. Se c’è una cosa che preoccupa, paura è parola troppo grossa per chi è stata ad Auschwitz, è l’indifferenza. Oggi c’è maggiore solitudine rispetto ai tempi della famiglia tradizionale. Allora ci si ascoltava un pochino di più. Oggi c’è separazione all’interno stesso della famiglia, tra figli e genitori, tra vecchi e giovani. I vecchi sono esclusi totalmente dalla società. Nessuno vuole ascoltarli. Come era successo a noi quando eravamo tornati dai campi. Nessuno ci ascoltava. Io ho cominciato a scrivere nel ’46. Nessuno voleva sapere niente. E ora i giovani che dicono ecco il nonno che rompe con le sue storie…Ognuno ascolta solo se stesso. È diventato un mondo egocentrico, autistico nel senso morale. C’è molto esibizionismo, narcisismo, questo voler apparire e ancora apparire, come se solo così si è in vita. Ma la vita è altro. Molto di più.
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