Dalla corsa ad ostacoli per il Quirinale, alla sinistra e il conflitto sociale ai tempi della pandemia. Con Il Riformista, Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Pd, una delle “menti” dem, affronta le questioni più spinose sul tavolo imbandito della politica.

Ora si mugugna per una presunta auto-investitura di Draghi nella conferenza stampa di fine anno, dopo che per mesi si è parlato di lui come del “salvatore della patria”, da “clonare” per poterlo avere sia al Quirinale che a Palazzo Chigi. Non le sembra un po’ miserevole per la politica questo tirare per la giacca il presidente del Consiglio?
Mi pare un segno di debolezza della politica e dei partiti. Anche in questo caso distinguendo nel mazzo perché non è vero che tutti sono uguali, che “tutti rubano alla stessa maniera”, e neppure la reazione alle parole del premier hanno avuto tutte la stessa impronta. Il Pd con Enrico Letta ha scelto una volta di più la linea del rispetto verso chi si è assunto l’onore e l’onere di guidare l’Italia fuori dalla pandemia e dalla crisi più dura degli ultimi decenni. Quanto al merito, è fuori dubbio che l’autorevolezza e il prestigio internazionali di Draghi siano stati in quest’ultimo anno il vero valore aggiunto del governo, né poteva essere diversamente vista l’eterogeneità di una maggioranza che racchiude l’universo mondo con le sole eccezioni della destra estrema e di parte dei fuoriusciti dai 5 Stelle. Colpisce, questo sì, la tendenza spinta in alcuni momenti sino al parossismo a descrivere l’uomo come portatore del bene a prescindere, ma una certa propensione dei nostri giornali a costruire altari con la stessa rapidità e disinvoltura che impiegano nell’abbatterli non mi pare una novità in senso assoluto. Penso che un eccesso di enfasi finisca quasi sempre per danneggiare chi ne è il destinatario, mentre una ragionevole autonomia di giudizio può aiutare a correggere eventuali limiti o errori. Forse in questo c’è una vena antica propria di certo spirito italico, blandire il potere salvo allontanarsene quando lo si ritenga in procinto di cadere in disgrazia. Non è questo il caso dei commenti alla conferenza stampa del premier, lì credo abbia pesato di più la recente sgrammaticatura del ministro Giorgetti circa il presidenzialismo di fatto che si attuerebbe nell’ipotesi di Draghi al Quirinale. Comunque il capo del governo si è limitato a dire alcune cose discretamente scontate, il suo essere uomo al servizio delle istituzioni e la possibilità che il governo completi il lavoro avviato in ogni scenario. Direi che la notizia sarebbe stata se avesse comunicato che nell’eventualità di una sua uscita da Palazzo Chigi sarebbe crollato il paese.

Mentre nei palazzi della politica e nei salotti mediatici si gioca al toto-presidente, nel paese reale imperversa Omicron. Siamo ancora dentro l’emergenza pandemica. Questo giustifica il permanere di una maggioranza spuria come l’attuale?
In questo caso la vera domanda è se esista una alternativa, la mia opinione è che nell’ambito di questa legislatura una alternativa non c’è. So che la memoria non è un bene che si coltiva con la medesima passione rivolta ai retroscena e alle dietrologie, ma forse merita ricordare che il precedente governo è caduto per volontà di una forza della vecchia maggioranza che ha giudicato quella esperienza finita e in parte fallita. Noi avevamo una convinzione diversa, che quel governo dovesse proseguire la sua azione, abbiamo preso atto dei numeri e dell’appello del capo dello Stato a garantire comunque una prosecuzione della legislatura avendo dinanzi due impegni decisivi: il completamento del piano vaccinale e la programmazione e gestione delle ingenti risorse in arrivo dall’Europa. Questi dieci mesi hanno visto su entrambi i fronti una iniziativa positiva del nuovo esecutivo. Poi, come era inevitabile, su singole questioni ci sono state posizioni diverse all’interno della maggioranza, ma è chiaro che davanti alla novità inattesa di Omicron la logica spinge perché si garantisca un governo nella pienezza delle sue funzioni e in grado di fronteggiare la nuova fase dell’emergenza.

L’emergenza pandemica cancella il conflitto sociale? A sinistra si sono alzate voci fortemente critiche nei confronti di Cgil e Uil per lo sciopero generale del 16 dicembre. Non le pare un po’ troppo?
L’emergenza pandemica deve indurre tutti a un di più di responsabilità. Nelle decisioni che assume il governo in primo luogo, ma anche nelle posizioni di partiti e forze sociali e, aggiungo, nel protagonismo mediatico di esperti, medici e scienziati. Lo dico perché se una cosa abbiamo compreso in questi mesi è la necessità di trasmettere una informazione seria e non improvvisata, anche sacrificando al rigore delle notizie, dei dati, delle previsioni, quel tanto di spettacolarizzazione che aiuta gli ascolti ma deprime competenza e qualità. Quanto al conflitto sociale come si fa a immaginare di poterlo cancellare? Al netto che una cosa simile avviene solamente nei regimi autoritari, è la realtà del paese a metterci davanti una questione sociale drammatica. Sei milioni di poveri complessivi, numero accresciuto nell’ultimo anno e mezzo con la pandemia che ha giocato la sua parte, una sanità territoriale da ripensare e ricostruire dopo decenni di tagli nel nome di un mercato capace di allocare le risorse in maniera più efficace, salari inchiodati da trent’anni, l’indice delle principali disuguaglianze, penso all’incidenza della povertà minorile, che ci vede in coda alle classifiche dell’Europa, cos’altro deve accadere perché la politica prenda atto che solo misure coraggiose e riforme ambiziose e radicali possono restituire una speranza a milioni di persone che oggi si sentono defraudate di una quota dei loro diritti di cittadinanza? Il conflitto sociale non è un orpello della democrazia, in qualche misura rappresenta il suo principale alimento. A chi dice che il problema non è la miseria materiale di tanti, ma il fatto che protestino viene scontato rammentare la parabola del dito e della luna.

Cosa ne è stato delle “agorà”? Nessuno ne parla più.
Per la verità più che parlarne le stiamo facendo. Sono già alcune centinaia, hanno coinvolto migliaia di persone, in larga misura esterne o estranee al Pd. Lo scopo dichiarato era precisamente questo: attivare un canale di scambio tra un partito e quella rete diffusa di buone esperienze e pratiche che spesso non trovava e non trova il modo di condividere proposte e soluzioni per i temi dell’agenda sociale, politica, istituzionale. L’idea è quella di una democrazia partecipata e la risposta, per quanto ignorata dai giornali, conferma che una domanda di questo genere esiste e non va ignorata. Personalmente a febbraio, assieme a molti, ne promuoverò una sul tema dell’alternativa alla destra, spero possa essere un modo per arricchire quel campo largo che è la nostra assicurazione sulla possibilità di battere la destra nel paese e nelle urne.

Il 2021 sta volgendo al termine. È tempo di bilanci e di propositi per l’anno a venire. Quali sono i suoi?
Dopo una certa età di fronte a domande simili viene a mente il verso di De André, «Si sa che la gente dà buoni consigli / Se non può più dare cattivo esempio». Dovendo rispondere mi piacerebbe che la sinistra tornasse a dare “cattivo esempio” nel senso di sottrarsi al ricatto di un tempo storico dove non esistono più alternative. Il mondo attorno a noi ci racconta altro, ci parla di una domanda di alternativa che squilibri le ingiustizie degradanti e devastanti. L’anno si chiude con la vittoria in Cile di un presidente che il golpe di Pinochet lo ha letto sui libri o sentito evocare in famiglia. Sul mondo si affacciano leadership all’apparenza inspiegabili se uno guarda solamente all’anagrafe, da Greta a Olga che protesta a Mosca, a Wong lì in oriente e Vanessa che riscatta la sua terra africana. Adolescenti, poco più, eppure sono testimonianza di un tempo che può ribaltare canoni e intere categorie, creare nuovi movimenti destinati a calarsi nella realtà con la stessa determinazione e forza di chi li ha preceduti, fosse la classe degli operai o il pensiero femminista. Forse mi aspetto semplicemente questo, che la semina prosegua e presto si arrivi al tempo del raccolto. La verità, semplice come sanno essere le cose importanti, è che una sola cosa la politica e la sinistra non possono fare ed è togliere la speranza che il dopo possa essere migliore del prima. Ripartiamo da qui e forse del buono verrà.

 

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.