Da circa 48 ore Matteo Salvini lo ripete ad ogni microfono che gli si para davanti: “Mario Draghi deve restare a palazzo Chigi”. Il segretario della Lega è sempre stato finora il più scettico e, al di là delle tattiche, ci devono essere altri motivi per cui ha cambiato parere. Che non sono certamente gli auspici degli organi di stampa della finanza internazionale – Financial Times a The Economist – che da qualche giorno hanno iniziato il pressing sul futuro del nostro premier.

Ora, se ci tappiamo un attimo le orecchie, smettiamo di ascoltare il brusio di fondo di analisti e opinionisti e peones parlamentari e proviamo a mettere la testa sui dossier, ci accorgiamo che l’intreccio di provvedimenti in discussione e in approvazione legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza è tale per cui sembra veramente impossibile che possa cambiare anche solo uno spillo dell’attuale macchina politica/amministrativa che ha in gestione i vari step del Piano da cui dipende lo stanziamento dei 222,1 miliardi. La cosa più “semplice” è stata approvare le linee generali del Pnrr, le quattro grandi riforme (Pubblica amministrazione, Giustizia, semplificazione, concorrenza) a cui poi è stata aggiunta la riforma fiscale e le sei mission (digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura; transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute).

Ma la parte difficile è quella che viene subito dopo. Adesso, oggi, domani e per i prossimi quattro anni (i progetti vanno tutti incardinati e avviati entro il 2023). E, come è stato detto tante volte dallo stesso Draghi, questa è la parte più difficile perché storicamente l’Italia non riesce a spendere i a fondi pubblici (europei e nazionali) di cui è destinataria. Ora, quello che serve è proprio un nuovo modus operandi che consenta di poter spendere e bene quei soldi per realizzare investimenti utili. Vanno, in sostanza, cambiate le regole del gioco e di ingaggio. Draghi e il suo governo lo hanno capito benissimo. Anche il Parlamento, va detto. E ne sono prova le circa quattrocento pagine della relazione tecnica del Decreto Pnrr che sarà approvato lunedì alla Camera per poi andare subito al Senato che deve dare il via libera finale. Entro la fine dell’anno. Perché da questo decreto dipende la seconda tranche (circa 30 miliardi) di finanziamenti del Next Generation Eu.

In queste 400 pagine si trovano le nuove regole per semplificare le procedure e far partire gare, bandi e poi cantieri. Per assumere quelle risorse umane che consentano agli enti locali di presentare i progetti. Nell’indifferenza dell’opinione pubblica, in queste 400 pagine (disponibili sul sito del governo) c’è tutta la scommessa del Pnrr e del nostro futuro. Si tratta di piccole rivoluzioni quotidiane che possono cambiare le nostre vite. Ci sono le multe per chi non accetta pagamenti di qualsiasi importo con le carte di credito (30 euro più il 4% di ogni transazione, una misura contro l’evasione), lo studio del coding fin dalla scuola per l’infanzia per abituare i giovanissimi ai nuovi linguaggi e ai nuovi mestieri, una piattaforma digitale per accedere ai bonus pubblici e quindi semplificare le operazioni (i rimborsi arriveranno direttamente tramite una piattaforma web). E poi le norme che accentrano il potere nelle mani dei commissari straordinari o dei presidenti di regione per le grandi opere e semplificare gli iter procedurali. Norme già in vigore da settembre e che hanno permesso di raggiungere i 51 target necessari per chiedere a Bruxelles le prossime risorse per il Pnrr. Per dare una misura, a metà settembre erano stati raggiunti solo 17 target. Decisamente pochi.

Lo sprint è stato notevole. Ci sono ulteriori risorse per le assunzioni nei comuni con l’obiettivo di recuperare i 70mila posti persi tra blocchi del turnover e spending review: sarà personale giovane, laureato, qualificato, con contratti a tempo indeterminato. Lavoro di qualità. Altri 30 milioni consentiranno ai piccoli Comuni di dotarsi delle figure necessarie a realizzare i progetti del Pnrr mentre altri 67 milioni andranno ai sindaci del Sud per i contratti ad esperti e professionisti. Più facile assumere personale per lo staff anche per i sindaci delle città in deficit. Sempre sul fronte del lavoro si stanziano altri 100 milioni per il 2021 destinati al Fondo nuove competenze per la formazione, e altrettanti vanno al turismo anche se in 4 anni. Dieci milioni serviranno ad aiutare i ristoratori rimasti chiusi causa Covid. C’è anche una riforma del servizio idrico oggi parcellizzato in troppi enti per cui alla fine nessuno pulisce i fiumi.

La vera riforma della giustizia penale sta in queste 400 pagine: entro il 31 gennaio di ogni anno i capi degli uffici giudiziari dovranno redigere un programma per determinare i criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti. Per gli imprenditori è in arrivo un programma informatico per la sostenibilità del debito e l’elaborazione di piani di rateizzazione automatici. Una misura contro i finanziamenti leggeri magari agli amici che poi mettono in ginocchio le banche. Insomma, una selva di micromisure destinate però a fare la differenza reale tra ieri e oggi. In fondo il Pnrr è esattamente questo: cambiare il paese riscrivendone le regole mentre i cantieri, grandi e piccoli, sono avviati. E’ tutto molto complicato, intrecciato e delicato. Può essere che ci sia bisogno, nei prossimi mesi, di intervenire con un’ulteriore pacchetto di semplificazioni. Banca d’Italia fa sapere che legge di bilancio e Pnrr valgono 5 punti di Pil nel quadriennnio, 2021-2024. E’ già scontata l’inflazione. Ma non i rischi di nuove chiusure causa pandemia. Non si possono cambiare conducente ed equipaggio di questo viaggio. Almeno fino al 2023.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.