Una cosa si può dire con certezza: Mario Draghi non ha alcune intenzione di “compiacere” una parte o l’altra del Parlamento e dei cosiddetti corpi intermedi in vista della seduta comune che andrà ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Motivo per cui se il premier aveva pensato di tendere la mano alle richieste di sinistra e sindacati con un “contributo di solidarietà” (escludere dal taglio dell’Irpef la fascia oltre i 75 mila euro), la proposta è stata respinta con perdita in una mattinata di confronti e discussioni, prima in cabina di regia e poi in Consiglio dei ministri. Lega, Forza Italia e Italia viva hanno definito “il contributo” come una forma di patrimoniale. La situazione si è surriscaldata e, pur avendo trovato nelle pieghe del bilancio i soldi necessari, circa 300 milioni, alla fine Draghi ha detto stop.

Come era stato già discusso e deciso. “Il taglio del fisco non viene toccato” diceva ieri già a fine mattinata una fonte di governo. I sindacati, Landini (Cgil) in testa, avevano posto l’aut-aut sulla legge di bilancio nella parte, soprattutto, che riguarda l’utilizzo degli 8 miliardi destinati al taglio delle tasse. Respinti La richiesta è stata esaminata ma poi giudicata irricevibile. Niente contributo di solidarietà. Cgil, Cisl e Uil hanno invece avuto soddisfazione su un’altra parte delle loro richieste: alla fine saranno 800 milioni in più per affrontare il caro bollette e un taglio di circa un miliardo e mezzo ai contributi previdenziali – una limatura parti allo 0,5% – per alleggerire le buste paga dei lavoratori fino a 35 mila euro (ma solo per un anno). Il resto del pacchetto “taglio tasse per 8 miliardi” non cambia.

È una questione contabile: resta l’impianto a quattro aliquote (invece di cinque) ma poiché nel 2022 saranno spesi due miliardi in meno dei 7 stanziati per l’ Irpef, i danari “avanzati” saranno messi a disposizione delle fasce di reddito più basse e in difficoltà. Quelle per cui i sindacati avevano lamentato una disparità di trattamento. E a cui il Mef ha risposto con una tabella che dimostra che quasi la metà dei 7 miliardi (3,3) va ai redditi fino a 28 mila euro; circa 2,7 alla fascia tra 28 e 50 mila euro; un miliardo per le due fasce restanti. Il punto è che la prima fascia, la più bassa, è anche quella più affollata con 32,7 milioni di contribuenti. Avanti così, dunque. Senza dover per forza cercare vincitori o vinti. “Draghi ha fatto una proposta che ha convinto tutta la maggioranza. Non ci sono state divisioni, c’è stata una valutazione approfondita e una soluzione nell’interesse di tutti” ha commentato Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali.

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha cercato di rilanciare, e così calmare le acque a sinistra, annunciando l’avvio del tavolo di riforma delle pensioni “tra due settimane” e l’approvazione delle misure antidelocalizzazioni da approvare prima della fine dell’anno. Anche Italia viva, insieme a Lega e Forza Italia, è soddisfatta: “Salutiamo con grande favore la decisione del presidente Draghi e del Consiglio dei ministri di confermare in Legge di bilancio l’impianto dell’intervento fiscale di riduzione delle tasse a cui abbiamo dato un contributo determinante anche grazie al lavoro determinante della Commissione Finanze. Del resto qualsiasi ipotesi che preveda un prelievo aggiuntivo, non andrebbe nella direzione che lo stesso premier Draghi ha più volte ribadito e in cui ci riconosciamo pienamente: non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli”. Anche questo episodio deve essere contestualizzato. Il punto è capire se i partiti di maggioranza affrontano questa Manovra come la prima o l’ultima del governo Draghi. In altre parole se è un provvedimento su cui cercare consenso della campagna elettorale nella primavera 2022, più o meno. Oppure se è più semplicemente la prima di Draghi e la penultima della legislatura.

La differenza è enorme: nel primo caso si capiscono bene i 6300 emendamenti di cui 4617 solo delle forze di maggioranza. Per cui c’è da aspettarsi di tutto nelle prossime settimane perché ciascuno, da Lega a Iv, da Forza Italia a 5Stelle, difenderà e vorrà quello che qualcuno ha promesso. Nel secondo caso siamo di fronte al più classico dei posizionamenti delle forze parlamentari che come sempre vendono nella legge di bilancio come l’occasione migliore per emergere e far parlare di sè. E dare ai territori quello che chiedono. Vedremo. L’unica cosa che non è in forse è che dal 18 gennaio ogni giorno è buono per la convocazione delle Camera e aprire l’urna presidenziale. Mai il puzzle è stato così complicato. E ogni giorno si aggiunge un pezzo. Ieri però si è registrato un intervento abbastanza clamoroso da parte del Quirinale. L’occasione è stata la proposta di legge costituzionale firmata dallo stato maggiore del Pd che abolisce il semestre bianco e vieta la rielezione del Presidente uscente. Esattamente quello che chiede e ripete in ogni occasione pubblica il Presidente Mattarella che non ha alcuna intenzione di dare seguito alla sirene che salgono dal Parlamento e proprio dal Pd circa il mantenimento del tandem vincente: Draghi a palazzo Chigi, Mattarella al Quirinale. Almeno fino a fine legislatura. La riforma del Pd però avrebbe valore “dalla prossima volta”. Non adesso. E sotto sotto è diventato un modo per compiacere Mattarella. E magari invitarlo a restare ancora un po’.

Tutto questo però ha infastidito il Quirinale. Che ieri ha fatto filtrare il suo malumore: se la norma passa, deve valere fin da subito. Il Nazareno, insomma, ha fatto arrabbiare Mattarella. Tanto che ieri girava voce che questa fosse veramente la pietra tombale sul suo secondo mandato. A questo punto però il dossier Quirinale diventa sempre più complicato per il Pd. Eliminato il candidato che contava di più in casa democratica (ma molto meno in ambito Lega), resta solo Mario Draghi. Il Presidente del Consiglio, senza dubbio, aspira al trasferimento, ed i partiti non sono in grado di dirgli di no. Sulla carta, il consenso è molto alto, talmente alto, che anche i franchi tiratori poco potrebbero fare. Chi lavora a stretto giro con il premier chiarisce anche che la legislatura arriverebbe alla fine, affidata per gli ultimi dieci mesi ad uno tra il ministro Franco e la guardasigilli Cartabia. La novità di ieri è che in questo caso la Lega potrebbe uscire dalla maggioranza consegnando governo e maggioranza al cosiddetto format Ursula. Romanzo Quirinale, appunto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.