Lo scontro sul tavolo degli 8 miliardi
Manovra, Draghi non vuole sedersi al tavolo dei partiti e tira dritto

Si scrive “Tavolo per la legge di bilancio” ma si legge “Tavolo per il Quirinale”. La proposta, almeno per ora congelata, del segretario Pd Enrico Letta di un tavolo a cui sarebbe invitato anche il premier per blindare l’iter parlamentare della manovra è stata respinta al mittente a cominciare proprio da palazzo Chigi. Il premier Draghi non ha alcuna intenzione di sedersi con i leader dei partiti per limare questioni o deciderne altre più pesanti.
Una su tutte: a quale voce delle tasse destinare il taglio di 8 miliardi autorizzato dal Mef? Microinterventi per accontentare tutti – e in realtà nessuno -. O interventi mirati per dare una segnale forte almeno a qualcuno. Ad esempio il taglio dell’Irap o una allargata flat tax per partite Iva e autonomi (lo chiede il centrodestra). Tutti sull’Irpef e per tagliare il cuneo fiscale dei lavoratori dipendenti come preferisce il centrosinistra (ieri anche Meloni ha dato via libera su questo). Italia viva ha una posizione intermedia. Saranno i partiti a trovare la quadra onorando così quella rispettabilità e centralità che denunciano essere violata ad ogni fiducia. Vediamo se saranno in grado di farlo. Di sicuro sarà poi il governo a scrivere l’emendamento una volta recepite le decisioni del Parlamento.
Meglio non sedersi a quel Tavolo, si spiega a palazzo Chigi – anche per altri motivi. Almeno tre: premier e governo quello che avevano da dire lo hanno già detto e fatto prima del 28 ottobre quando il testo è stato approvato in Consiglio dei ministri dunque ora facciano pure i partiti; il budget riservato ai gruppi parlamentari è blindato (questo per davvero) a 600 milioni e se li dovranno far bastare perché le risorse sono queste; Draghi è convinto che quel Tavolo serva anche a parlare d’altro, del Quirinale ad esempio, ed è quindi consigliabile starne alla larga. Per eleganza e per precauzione: la politica impiega un attimo a trasformare un Tavolo in una trappola. E il premier sa bene che la maggioranza dei parlamentari si fida solo di una cosa: avere la certezza che la legislatura andrà avanti fino al 2023. Cosa che niente e nessuno può garantire perché se c’è un voto segreto, questo è quello per il Presidente della Repubblica. Per dirla più chiara: se anche Meloni, Salvini, Letta, Conte e Berlusconi dovessero comunicare al premier “sei tu il nostro candidato, dalla prima votazione”, Draghi farebbe bene una volta di più a non fidarsi. E a restare dove si trova.
D’ora in poi, comunque, per seguire l’attorcigliato filo rosso della politica italiana è bene partire sempre dal Tavolo lanciato da Letta. Che dimostra anche un’altra cosa: parlare con Salvini, Meloni e Berlusconi in questo momento è una necessità e non significa spostarsi a destra. Argomento pretestuoso e infondato usato contro Renzi per provare a spaccare Italia viva. Un assaggio di Tavolo è stato visto ieri mattina all’assemblea di Confesercenti dove erano seduti tutti i leader, da Letta a Meloni, da Salvini a Forza Italia rappresentata dal viceministro allo Sviluppo economico Gilberto Pichetto Fratin. Intervista pubblica sul palco. Occasione ghiotta per capire le intenzioni. «Si stanno alzando molte aspettative – ha detto Letta – Credo ci sia bisogno di una corresponsabilità da parte di tutti nel fare le scelte giuste, nello smussare i problemi che ci sono e soprattutto nel dare un segnale che considero fondamentale: siamo fuori da situazioni elettorali, con la pandemia che continua a preoccupare, la ripartenza che è necessaria. Credo ci sia bisogno di vedere che ci sono forze politiche, leader politici, rappresentanti istituzionali che si caricano anche loro la responsabilità e che non fanno semplicemente il gioco della bandierina».
Un esplicito invito a sedersi insieme per trovare soluzioni responsabili e condivise e basta con le bandierine. Le campagne elettorali sono finite. Salvini però continua ad alzarle: «Per gli 8 miliardi stanziati dal governo in manovra ripartiamo dalle partite Iva, dagli autonomi, dai commercianti e dai liberi professionisti. Fosse per me gli 8 miliardi li metterei tutti lì». E a proposito di salario minimo, è meglio parlare di «tassazione minima». Insomma, siamo ancora alle bandierine. Che invece sembra abbassare un poco Giorgia Meloni: «Gli 8 miliardi siano destinati ad un solo intervento in modo da avere effetti reali» ha suggerito la leader di Fratelli d’Italia avvicinandosi alle posizioni del centrosinistra e rompendo con quelle del centrodestra. Posizionamenti continui. Chi ha spiazzato del tutto è stato Giuseppe Conte. Anche lui sul palco di Confesercenti, ha lanciato il masso di una riforma costituzionale con tanto di “costituente delle riforme” da portare avanti con tutti, anche Berlusconi e Forza Italia.
La notizia ha creato nelle file dei suoi parlamentari più malessere di quello che già c’è. Tra i parlamentari infatti nessuno sapeva di questo nuovo progetto. E pochi ritengono che «una rivoluzione del genere sia in agenda ad un anno dalla fine della legislatura». Una riforma XL è quanto i 5 Stelle hanno sempre osteggiato da quando sono entrati in Parlamento. «È chiaro che ha voluto evitare di andare semplicemente in scia a Letta» spiega una prima fila del Movimento. Che poi taglia corto: «Direi che in questo momento è più sicuro seguire cosa fa e cosa dice Di Maio anziché Conte». Una fonte di governo, ben dentro i dossier economici, invita a lavorare meno di retroscena. E a stare con i piedi in terra. Il Tavolo, spiega, «serve anche a dare spazio e occasione ai deputati che molto probabilmente non avranno il tempo di discutere la manovra». Il testo infatti è incardinato al Senato, difficilmente ci sarà il tempo di una doppia lettura. Un espediente conciliatore, insomma. Ma non c’è dubbio che il Tavolo serva anche a «creare un clima favorevole in vista del Colle». Dove il patto tra i big di “mandare” Draghi al Quirinale assumerebbe subito le fattezze di una trappola per i peones che non vogliono mollare lo scranno parlamentare.
È vero che Mattarella ha già detto tre volte no al bis. Ma è ancora questa una delle opzioni possibili. Mentre si fa largo nelle nebbie il nome del vicepresidente della Consulta Giuliano Amato. “Gran consigliere e sponsor” si ragiona in Transatlantico di “Luigi di Maio”. I giochi sono appena all’inizio. Nel fine settimana sarà da ascoltare con attenzione Matteo Renzi dalla sua Leopolda, la numero 11. Sapendo che a due mesi dal grande scrutinio, nulla è quello che sembra.
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