Il 2021 sta per chiudersi e come ogni anno, alla fine di dicembre, arriva puntuale il momento dell’approvazione della legge di bilancio. Un appuntamento importante, in attesa delle riforme strutturali promesse dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, grazie alle risorse europee stanziate dal Next Generation EU. Ne abbiamo parlato con Veronica De Romanis, economista e saggista, docente di European Economics all’Università Luiss di Roma e della Stanford University di Firenze.

La settimana scorsa al Senato è entrato nel vivo l’esame del disegno di legge di bilancio per il 2022 che andrà approvato dal Parlamento entro la fine dell’anno. La sensazione di molti è che si tratti di un compromesso al ribasso. Lei che ne pensa?
La legge di bilancio mira a correggere gli errori compiuti nel passato: in particolare, Quota 100 e il Reddito di cittadinanza. In realtà, l’impatto sembra ancora modesto. Quota 100 è stata cancellata ma la riforma delle pensioni è stata rimandata. La platea dei beneficiari del Rdc non è stata rivista. Un’occasione persa visto che l’assegno avvantaggia i single rispetto alle famiglie numerose. Inoltre, gli 8 miliardi stanziati per la riforma fiscale sono ancora troppo pochi per avere un impatto significativo. Anche in questo caso la riforma è stata rimandata. Insomma, si è voluto dare qualcosa a tutti i partiti della maggioranza, così che ciascuno possa sventolare la propria bandierina. Mentre i grossi interventi arriveranno con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Intanto, con la legge di bilancio avremo 23 miliardi in più di indebitamento.

La legge contiene anche un anticipo di riforma fiscale. In particolare, il taglio dell’Irpef, con il passaggio da cinque aliquote a quattro, e la modifica delle detrazioni. Lei che idea si è fatta?
È solo un primo passo. Le risorse sono troppo limitate e la riforma è finanziata in disavanzo. Con la conseguenza che ci sarà un maggiore debito e non sappiamo che cosa succederà l’anno prossimo. Se si fanno tagli strutturali le coperture devono essere permanenti: quindi sarà necessario tagliare le spese o alzare altre tasse. L’idea di fondo sembra quella di dare un po’ di respiro alle fasce medio basse favorendo l’impulso ai consumi in un momento di incertezza provocato dall’inflazione e dal rischio di una recrudescenza della pandemia.

Il governo voleva introdurre un contributo di solidarietà per limitare i rincari delle bollette. Ma Lega, Forza Italia e Italia Viva hanno respinto la proposta in Parlamento. Secondo lei avrebbe potuto funzionare?
Mario Draghi aveva fatto una proposta condivisibile che però è stata tradotta male da chi l’ha criticata. Non si trattava affatto di una patrimoniale, bensì di rimandare in avanti la riduzione fiscale per le fasce alte. In pratica sarebbe rimasto tutto com’è e quelle risorse sarebbero servite per raffreddare l’aumento dei costi dell’energia. Adesso si dice che quelle risorse saranno trovate “nelle pieghe del bilancio”, ma questa frase significa che verranno finanziate a debito. Viceversa, dovremmo cominciare a capire che siamo in una fase nuova: l’emergenza non è più così acuta, pertanto dovremmo dedicare delle risorse alla riduzione del debito pubblico. Se lo aumentiamo ancora diventiamo più vulnerabili a eventuali shock futuri: il contesto oggi è favorevole, ma non sarà così per sempre.

Cgil e Uil non sono soddisfatte delle misure contenute nella legge di bilancio perché, tra l’altro, penalizzerebbero i giovani e le donne. E annunciano lo sciopero generale. Condivide questa posizione?
È vero: i sindacati dicono che non si tiene conto dei giovani e delle donne. Ma allora non si capisce perché non abbiano protestato con la stessa forza quando fu introdotta Quota 100 una misura che ha alzato il picco della spesa previdenziale, non ha fatto scattare la staffetta generazionale, lasciando ancora una volta ai giovani l’eredità del debito publico. Inoltre, Quota 100 avvantaggiava i lavoratori maschi delle pubbliche amministrazioni, non di certo le donne né i lavoratori che svolgono mansioni gravose. La voce dei sindacati non si è sentita nemmeno sul reddito di cittadinanza, una misura costruita soprattutto a vantaggio dei single. La Caritas ci ricorda invece che oggi i veri poveri sono le mamme con figli a carico. Insomma, la platea del Rdc andava radicalmente cambiata ma i sindacati non hanno fatto nulla in quella direzione.

Nel frattempo, però, come anticipato dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2021, è stato prorogato il superbonus al 110%. Lei che ne pensa?
L’Ufficio parlamentare di bilancio la considera una misura iniqua e regressiva: ottieni più di quanto hai speso, per questo mancano gli incentivi a risparmiare sui costi. E poi come al solito sarà a carico dell’intera collettività. Il M5s ha costruito male questa misura. Vuoi che il settore delle costruzioni torni a fare da traino della ripresa economica? Ok, ma perché restituire più di quanto è stato speso? E perché dare queste risorse a tutti? Come ha più volte chiarito Mario Draghi, durante la crisi sanitaria ed economica alcune categorie sono state colpite più di altre. Le risorse dovrebbero andare dunque a chi ne ha veramente bisogno. Nel frattempo così facendo il nostro rapporto debito/pil è arrivato al 155% e dovremmo cominciare a preoccuparci del momento in cui la Bce comincerà a fare politiche monetarie meno espansive. Ci darà un incremento dei tassi di interesse. Non è una buona notizia per i paesi ad alto debito come il nostro.

Ancora una volta, sembra che i giovani e le donne siano le categorie più penalizzate dalle nuove misure della legge di bilancio.
Ci sono alcuni interventi, ma la vera scommessa sarà il Pnrr che prevede risorse per la formazione, dunque per la crescita del capitale umano. Il Piano destina un miliardo e mezzo di euro per gli istituti tecnici e 600 milioni di euro per l’alternanza scuola-lavoro. Ci sono poi quattro miliardi di euro per realizzare quelle nuove infrastrutture (come gli asili nido) che potranno stimolare l’occupazione femminile. Anche sulle politiche attive la legge di bilancio offre poco: tutto è rimandato al Pnrr.

L’Ocse e l’Istat hanno rilanciato stime positive sulla crescita dell’economia italiana con un +6,3 per cento, dato più alto rispetto a quello di altri stati europei. Quali sono i fattori di questa crescita?
Mario Draghi lo ha spiegato bene: più in basso caschi e più in alto risali. Il tasso di crescita della Grecia atteso per l’anno in corso sta al 7 per cento e quello dell’Irlanda al 14. A confronto, il nostro 6 per cento non è poi così elevato. La cosa più importante in questa fase è ricordare che la crescita sarà più strutturale e inclusiva se sarà realizzato il Pnrr, lo strumento che mette insieme investimenti e riforme. Con le riforme previste dal piano potremo cambiare il contesto in cui si opera e si investe e le norme: solo così la crescita potrà avere effetti positivi sulle divergenze che ci portiamo dietro da anni: quella generazionale, di genere e territoriale.

Dopo l’uscita dai lockdown, l’aumento dell’inflazione è diventato lo spauracchio per alcuni paesi come gli Stati Uniti e la Germania. Dobbiamo cominciare a preoccuparci anche in Italia? E quali potrebbero essere le conseguenze di questo fenomeno?
Finora la Banca centrale europea considera l’inflazione come un fenomeno temporaneo. E per ora non si muove. Se però l’inflazione dovesse crescere ci ritroveremmo a fare i conti con una politica economica meno espansiva e con un aumento dei tassi di interesse. Ciò significa che il costo del debito sarebbe più elevato. Viceversa, se le varianti del virus dovessero aumentare il rischio sanitario con la necessità di procedere a nuove chiusure avremmo l’effetto di un raffreddamento delle tensioni inflazionistiche.

In questa situazione economica che cosa dovrebbe fare Draghi? Restare alla guida del governo oppure spostarsi per sette anni al Quirinale? Da economista che cosa si augura?
Credo che parlare soltanto di quello che farà Mario Draghi è un modo per la politica di deresponsabilizzarsi. È sbagliato parlare di un uomo solo. Il punto centrale è un altro: non possiamo perdere l’occasione del Pnrr e per raggiungere l’obiettivo serve il contributo di tutti, ciascuno nel suo ruolo. Come ha scritto Draghi nell’introduzione al piano veniamo da 20 anni di declino – con una serie di conseguenze che vanno dalla esplosione del debito pubblico all’aumento della disoccupazione giovanile – che sono responsabilità di quelle stesse forze politiche che siedono oggi in Parlamento. Ecco perché queste forze non dovrebbero discutere soltanto di quel che farà Draghi ma di quello che faranno loro.

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