Un Pd “pugnace”? È quello che fa la guerra alla guerra. Parola di Graziano Delrio, rieletto in Parlamento per i Dem, già presidente del gruppo Pd alla Camera.

Enrico Letta ha evocato un Pd “pugnace”. Come declinerebbe questo aggettivo su una questione cruciale come è quella della pace e della guerra?
Pugnace significa pronto a combattere e mi sembra molto appropriato. C’è da combattere per far cessare subito una guerra ingiusta provocata dalle smanie di potenza, per far cessare inutili sofferenze alla popolazione civile che è la vera vittima della guerra. L’aggressione della Russia non è giustificata né giustificabile ma va ribadito che la soluzione ai problemi non è mai la soluzione militare, non è nella corsa agli armamenti ma in una autentica azione politica e diplomatica. Ora è necessario uno sforzo di comprensione e di dialogo. Io sono convinto che la guerra non sia la prosecuzione della politica con altri mezzi. Al contrario, la guerra è la sconfitta della politica. E quindi penso che ora sia necessario e possibile un salto di qualità politico che ponga fine a questo conflitto. L’Europa deve fare un salto di qualità e prendere un’iniziativa per la de-escalation del conflitto. Finalmente si vedono Cina e Stati Uniti impegnati in questa direzione. Noi abbiamo chiaro in testa di chi siano le responsabilità di questa guerra ma anche la necessità di fermarla.

A proposito di pace. Come vede la “conversione” pacifista di Giuseppe Conte?
Da un lato mi sembra di poter dire che non si possono giudicare le conversioni. Chi lavora per la pace è sempre bene accetto. Dall’altro lato immagino che lei si riferisca ai cambi di posizione frequenti di Conte: era sovranista e a favore dei decreti sicurezza di Salvini poi per fortuna cambiò idea; da presidente del consiglio ha aumentato le spese militari mentre ora le critica. Ma mi sembra sbagliato guardare al passato e quindi voglio invece sottolineare una cosa che non condivido della attuale analisi dei 5 stelle. Conte chiede la pace perché dice che la strategia di sostegno all’Ucraina è stata fallimentare. Ma non è così. Questa linea è sbagliata strategicamente perché, senza un sostegno militare e umanitario all’Ucraina, Putin avrebbe annesso, esattamente come Hitler, un territorio enorme di una nazione sovrana e avrebbe fatto prevalere la logica del più forte. È sbagliata politicamente perché, aldilà del grave pericolo per tutta l’Europa, si sarebbe reso inutile il diritto internazionale, che invece è un pilastro insostituibile, insieme alle istituzioni multilaterali, per conservare e costruire la pace come dimostra la storia seguente agli accordi di Helsinki del 1975 a cui, peraltro, l’Italia diede un grande contributo con Aldo Moro. Pensare di opporsi al sostegno alla resistenza Ucraina dicendo che è fallita vuol dire rendere inutile tutto ciò che è stato fatto fino ad ora. Perché la pace non significa arrendersi alla logica del più forte ma combattere per ristabilire la giustizia.

Pensando al tema dei migranti, e alle politiche “securitarie” adottate, l’allora ministro dell’Interno, Pd, Marco Minniti, affermò, ricevendo ampi consensi nel partito a tutti i livelli, che “sicurezza è parola di sinistra”. Un po’ di autocritica…
Il problema non sta nelle parole ma nel modo in cui decidi di declinarle. Anche Putin parla di pace ma fa la guerra. C’è chi dice che vuole un paese più giustizia ma poi non paga le tasse. La sicurezza è un diritto in primo luogo delle persone più fragili perché i ricchi la sicurezza se la garantiscono con i loro mezzi. La più grande minaccia alla sicurezza economica e futuro delle famiglie è stata, nel 2008, la crisi finanziaria dovuta alla speculazione. La più grande minaccia di questi mesi per la sicurezza europea e mondiale è costituita dalla guerra in Ucraina. Spero di sbagliarmi ma credo che la destra al governo, per far dimenticare i problemi veri, ricomincerà a far credere che la minaccia alla sovranità del nostro paese ,alla sua sicurezza dipenda dall’immigrazione così scatenando la solita immorale guerra fra ultimi. La gran parte delle politiche di sicurezza urbana, come è noto a tutti, sono garantite certamente dal controllo di polizia del territorio, ma insieme al controllo sociale ed alla politica urbanistica che impediscono la ghettizzazione. Le politiche attive di cittadinanza e di educazione alla legalità sono ricette diverse da quelle di destra e sperimentate con successo in molte città italiane ed europee.

Una parola che è riecheggiata in quasi tutti gli interventi nella Direzione Dem dedicata all’analisi del voto, è stata “identità”. Parola che resta sospesa nel vuoto. Lei a cosa la legherebbe?
Sono per una riflessione radicale e profonda altrimenti non rispetteremmo l’esito delle elezioni. Ma riflessione non significa guardarsi l’ombelico fra i dirigenti del partito o peggio fra candidati improvvisati né la resa dei conti fra riformisti e sinistra interna. Ci si ritrova solo uscendo da se stessi verso le angosce e le speranze della vita quotidiana. Abbiamo bisogno di riscoprire parole chiave come attenzione e vicinanza. Attenzione agli ultimi e alle solitudini e vicinanza alle speranze ed alle fatiche di chi sta nel mondo del lavoro, operai ed imprenditori. Non esiste una identità di sinistra se non è fondata sulla lotta per l’uguaglianza, per ristabilire uguali condizioni di accesso a ciò che rende la vita degna di essere vissuta come l’educazione, la salute, il lavoro. La nostra identità si definirà sulle battaglie che combatteremo: in primo luogo quelle per la dignità sociale dei cittadini, del lavoro. E anche su una agenda di opposizione seria e costruttiva ad un governo che ha promesso grandi cose improbabili da realizzare . Ripeto che le risposte non sono dentro di noi, in un processo di autoanalisi infinita, ma fuori di noi lasciandoci interrogare e penetrare dalle sofferenze, dalle angosce e dalle speranze del nostro popolo. Io vedo che, nonostante l’invasività delle tecnologie e del modello di sviluppo consumistico, il nostro popolo ha un bisogno forte di comunità, di appartenenza comunitaria. Richiede progetti grandi e vuole essere chiamato ad opere collettive che migliorino il benessere di tutti. Questo popolo che conosce i suoi diritti ma che fa del dovere quotidiano una religione civile è un popolo altruista e capace di costruire relazioni stabili e feconde. A questo popolo bisogna dare voce, occasioni di partecipazione civica, speranza per il futuro dei figli. È un grande compito della politica, in particolare della politica di un partito che si chiama orgogliosamente democratico e che ha la bandiera tricolore nel suo simbolo.

C’è chi sostiene che il Partito democratico ha fatto della “governabilità” il suo totem, la sua mission. E per i critici, a fondamento della sua sconfitta politica prim’ancora che elettorale. Lei come la pensa?
Penso che non ci si dovrebbe vergognare di governare per servire al meglio il proprio paese quando è in difficoltà e si tratta di far fronte ad emergenze per famiglie e imprese. Dalle macerie del governo di centro destra del triennio fino al 2011 è nata la necessità di aiutare il governo Monti in un momento in cui eravamo sull’orlo del baratro. Se abbiamo poi pagato un prezzo elettorale è stato certamente perché abbiamo responsabilmente sostenuto uno sforzo di unità nazionale. Dalle macerie e dalle scelte sbagliate del primo governo Conte, nato sulla mancanza di maggioranze solide nel parlamento eletto, si è dato vita ad una collaborazione che ha tenuto in piedi il paese durante la pandemia. E da ultimo dovevamo rifiutare la richiesta pressante del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di collaborare al governo Draghi per calcoli elettorali? Forse il problema non sta nella adesione a questi governi ma nella forza con cui abbiamo lottato e reso visibile ai cittadini i risultati che volevamo raggiungere e che abbiamo conquistato. Penso al fatto che il partito democratico è sempre stato protagonista dell’abbassamento delle tasse sul lavoro raggiungendo anche risultati positivi da Prodi, a Renzi e a Draghi ma senza forse rivendicarlo abbastanza. E lo stesso vale per la riforma più importante per il sostegno alle famiglie ed per ridurre la povertà minorile che è l assegno unico e che è divenuto realtà in questi mesi. Comunque non è tempo di rimpianti. Adesso dobbiamo vivere la stagione dell’opposizione come l’occasione per rigenerare la nostra identità e la nostra proposta. La Meloni ha passato 5 anni all’opposizione persino dei suoi alleati. Il congresso deve essere dedicato non alle alchimie elettorali ma alla società italiana e alle risposte alla sue domande. Non si può pretendere di rappresentare qualcuno senza avere relazioni costanti e profonde con le associazioni che si prendono cura dei beni comuni come l ‘ambiente o la scuola o con chi si prende cura di salvare il lavoro che è il vero pilastro della cittadinanza. Alleanza con chi crea legami sociali e comunitari: ecco la alleanza da rafforzare e ricostruire nei prossimi anni con pazienza. Verranno tempi per raccogliere se si sarà seminato con cura.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.