Un mea culpa, almeno parziale. È quello che emerge dalle parole di Enrico Letta, il segretario del Partito Democratico che ha aperto questa mattina la Direzione nazionale del partito in corso al Nazareno, con una relazione che è stata in parte l’analisi della sconfitta elettorale subita il 25 settembre, e in parte una ‘linea di indirizzo’ per la comunità Dem in vista del prossimo congresso, in programma ad inizio 2023.

Il futuro è il punto da cui inizia il discorso di Letta, che chiede al suo partito di “tracciare un’analisi e dobbiamo parlare di futuro”, un ragionamento da tenere “nel percorso costituente” ma che non potrà non partire dal simbolo. Quello del Partito Democratico “è un simbolo che amo – dice Letta stoppando le richieste di ‘cancellare’ anche quello per ripartire da zero – sono perché il simbolo rimanga così com’è perché racconta il servizio fatto all’Italia”.

Un futuro, spiega ancora Letta, che riparte con un percorso congressuale che è e sarà “intimamente connesso al lavoro di opposizione che da oggi comincia, dobbiamo vestire da subito i panni dell’opposizione perché il mandato che ci ha dato il voto è quello di essere la guida dell’opposizione”. Non è un caso dunque se il segretario uscente, che non si ricandiderà al prossimo congresso, evidenzia come “quando questo governo cadrà dovremo chiedere subito elezioni anticipate, senza governi di salvezza pubblica”, una promessa in realtà già fatta in passato al Nazareno ma poi infranta nel nome della “responsabilità” e soprattutto del governismo. 

Tornando poi all’analisi di quanto accaduto domenica 25 settembre, Letta sottolinea che “c’è un’unica forza politica che ha vinto le elezioni ed è Fratelli d’Italia”, mentre “tutte le altre non le hanno vinte o le hanno perse”.

E qui arriva la stoccata, pur senza fare nomi, a chi non ha voluto formare il ‘campo largo’ per fronteggiare la destra poi risultata vincente. “Costruire una larga unità era l’unica possibilità per andare a vincere ma non è stato possibile. Era un po’ il modello del 2006 ma questa volta non ci siamo riusciti. Questo è il film di quanto accaduto”, spiega Letta tirando di fatto in ballo Carlo Calenda e Azione, passati dall’accordo con i Dem a quello con Matteo Renzi e Italia Viva.
 

Ciò nonostante, rivendica il segretario, “abbiamo costruito un’alleanza che ci ha consentito di crescere rispetto al 2018 e di restare in campo”. Anche se, e Letta non può non ammetterlo, sulla battaglia per una maggiore rappresentanza delle donne in politica, nel partito e in Parlamento, sono stati fatti gravi errori. Le poche donne Pd elette sono “il fallimento della nostra rappresentanza”. “È chiaro e evidente, non ho molto da aggiungere, e rappresenta il senso di un partito che non ha compiuto il salto in avanti necessario”, il mea culpa del segretario. Non è un caso dunque se da Letta arriva la conferma che i capigruppo di Camera e Senato saranno donne: “Non è possibile tornare indietro rispetto alla necessita’ di avere dei capi dei gruppi parlamentari di rappresentanza femminile. Dall’altra parte ci sarà la prima donna premier del Paese e su questo punto dovremo essere credibili“.

Eppure il risultato, quello del Partito Democratico, è stato “migliore di altri che hanno fischiettato e sono passati ad altro. Noi non possiamo fischiettare e far finta di niente perché il nostro percorso vive di allargamento. È giusto che la discussione si faccia e si faccia senza sconti. Anche se il risultato non è stato catastrofico, la discussione serve oggi: una discussione vera, senza sconti a me stesso e a tutti noi che ci servirà per il futuro”, le parole di Letta. Anche perché ai numeri ottenuti il 25 settembre ci si è arrivati perché i Dem sono giunti al voto “con un profilo non compiuto, di corsa, con un lavoro interrotto rispetto al percorso delle agorà e ci ha portato a non essere all’altezza su alcuni obiettivi fondamentali, che erano chiave per vincere. Il primo obiettivo era non essere in Italia il partito solo di coloro che ce la fanno“, le parole di Letta.

Quindi il ritorno al futuro del partito, dal congresso alla nuova guida per i Dem. L’appuntamento per la scelta del nuovo segretario non può essere, spiega Letta, “un referendum su Conte o Calenda. Non lo dico altre volte. Se qualcuno avesse in testa un referendum del genere la storia del Pd sarebbe già di declino”.

Insomma, non si può ripartire dalle alleanza ma neanche fermarsi semplicemente alla proposta di nomi e volti, serve un congresso che parta dalle fondamenta del partito. Un congresso “dai tempi giusti – aggiunge Letta – non dev’essere né un X Factor sul miglior segretario da fare in quaranta giorni, ma nemmeno un congresso che rinvia alle calende greche. Vorrei che il nuovo gruppo dirigente fosse in campo con l’inizio della nuova primavera. Abbiamo bisogno di partire da marzo con una scelta significativa”, spiega Letta dettando di fatto i tempi del prossimo congresso. 

Il partito che ne uscirà, spiega il segretario, dovrà “mettere in campo una classe dirigente più giovane in grado di sfidare il governo di Giorgia Meloni, una donna giovane”, in quello che appare evidentemente come l’identikit di Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia Romagna da settimane tirata in ballo per la segreteria nazionale. 

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia