La crisi dei dem
Cosa sta succedendo nel PD: un partito senza visione non è morto, è inutile
Il problema del Partito Democratico è che tutti i suoi uomini e tutte le sue donne lo guardano dall’interno. Essendomi io iscritto al Partito socialista nel 1957 (quando ci si iscriveva al Pci o al Psi secondo il criterio della distanza da casa) ho accumulato una memoria a rotazione della stessa storia che è anche la maledizione dantesca di tutte le sinistre italiane. Si forma un gruppo che si dichiara sempre riformista va al governo e subito si forma un partito dentro il partito che dice di no per una questione di pura fisica classica: dove si crea un vuoto, arriva la piena.
Siamo al centenario della marcia su Roma: andatevi a vedere che puttanaio fosse un secolo fa la grande casa madre socialista da cui germogliavano un anno il partito fascista (ancora con arredi socialisti) e poi un partito comunista. Come se non bastasse, il partitone poi si spaccava in due e poi in quattro come una gastrula quando parte un embrione e così via. Tutto già visto, già detto e pubblicato. E però siamo sempre lì da capo a dodici. Per ogni Enrico Letta che si dichiara Atlantico come di più non si può, è previsto in confezione cellofanata un Fratoianni che si schiera nel modo opposto perché la gente vuole vedere “qualcosa di sinistra” come nel famoso film di Nanni Moretti. Che cosa sia poi l’essere, sentirsi, di sinistra, è sempre più difficile dire perché da una dottrina economica e rivoluzionaria per la costruzione di una società giusta, si è arrivati a scoprire che l’essere di sinistra alla fine è soltanto un sentimento identitario, un segnale di riconoscimento, una griffe dell’anima.
Forte, ma nulla di più che sentimento. E un solo sentire comune – il bellaciao-ismo – non è politica, come non sono politica le leggi elettorali sbagliate, come il Rosatellum che vengono anch’esse dalla sinistra per insipienza o incompetenza o entrambe le cose, non importa. Il grido di dolore che emerge dal comune sentire di sinistra – giù le mani dalla nostra identità, guai a chi vuole scogliere il Pd – è sincero e dovuto. Ma c’è di più. L’esistenza vitale di un forte partito di sinistra che sia alternativo alla destra è molto di più che un disperato urlo sentimentale. È un servizio pubblico. Avete notato? Tutti gli autoritarismi fanno uso di elezioni e plebisciti. Dunque, non è nelle sole elezioni che consiste la democrazia e anche la sinistra che ne è parte fondante.
Ma la nostra sinistra italiana da molti anni sembra lobotomizzata quanto a progetti di società, intuizioni e visioni. E poi la sindrome vittimistica. Come se qualcuno volesse far cessare di esistere il Partito democratico: tutto il male che si è fatto, se l’è fatto da solo. Nessuno vuole il male del Pd (o comunque si chiami col cambio delle stagioni politiche) ma addirittura il mondo esterno guarda con fastidio quello interno con il suo inconcludente travaglio da gravidanza isterica, perché sfugge al partito della sinistra il suo ruolo nel patto collettivo che sta alle fondamenta della democrazia. Il Pd non è che ha scelto di privilegiare le alleanze accantonando per motivi tattici la linea politica.
No! È stato costretto ad andare a caccia di alleanze, proprio perché non ha uno straccio di linea politica: un obiettivo visibile e affascinante, un progetto di futuro, o come vi piace chiamare un ideale giusto ma non cretino. Non che la destra eccella, per carità, e siamo d’accordo anche se adesso bisogna stare a vedere. Ma direi che dà fastidio questo spettacolo di un partito che non sapendo trovare un’identità, prima che una unità, se la prende con i cattivi che lo vorrebbero morto. Il problema è che se non si dà una visione politica chiara e distinta, non è che è morto. È inutile.
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