Quel “patto infame” rimarrà in vigore per altri tre anni. È il Memorandum d’intesa Italia-Libia. La parola a Rossella Miccio, presidente di Emergency.

Nonostante l’appello di quaranta organizzazioni della società civile, il Parlamento non ha trovato il tempo né la volontà politica di ridiscutere il Memorandum d’intesa Italia-Libia. Emergency è tra le quaranta organizzazioni che ne chiedevano la cancellazione. Cosa rappresenta questo automatico rinnovo triennale?
Rappresenta una grandissima vergogna. Vergogna innanzitutto perché questo patto è stato firmato, e poi perché è stato rinnovato una prima volta e ancora adesso continuiamo a far finta che non stia accadendo nulla e che nulla accadrà nel mare di fronte casa. Avremmo sperato davvero che con tutti i report delle Nazioni Unite, Corte internazionale dei diritti umani, di giornalisti, avvocati, agenzie umanitarie, ci si assumesse la responsabilità di quello che succede e si facesse un atto di umanità. E invece niente.

“Omissione di soccorso, respingimenti, detenzioni arbitrarie, stupri e violenze: ecco a cosa sono sottoposti i migranti e rifugiati in Libia e non possiamo restare in silenzio di fronte a tutto questo. È chiaro a chiunque cosa avviene ogni giorno nel Mediterraneo e nei centri di detenzione in Libia, ma l’attenzione da parte della politica e delle Istituzioni è nulla, anzi sembra remare contro”. È un passaggio di un report di Save the Children.
Sottoscrivo ogni parola. Purtroppo è così. E c’è d’aggiungere che continuano a finanziare la Guardia costiera libica, l’Italia continua ad essere corresponsabile di torture, violenze fisiche e psicologiche, violazione dei diritti umani, un campionario di orrori che si consumano quotidianamente nei centri di detenzione libici, veri e propri lager. In precedenza erano stati fatti dei timidi tentativi per chiedere qualche impegno in più alle autorità libiche ma senza nessuna risposta. Ciò nonostante continuiamo ad andare avanti a finanziare un sistema criminale che si basa sulla violazione sistematica dei diritti umani e del diritto internazionale perché anche i respingimenti sono assolutamente illegali. Teniamo conto che da quando è stato firmato il Memorandum, nel febbraio 2017, sono state più di centomila le persone che sono state riportate a forza in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. La vita dei migranti e rifugiati in Libia è costantemente a rischio, tra detenzioni arbitrarie, abusi, violenze e sfruttamento. Significa non avere alcun diritto e nessuna tutela.

Il Memorandum prevede il finanziamento della Guardia costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento.
Lo abbiamo denunciato a più riprese. Continuare a supportarla significa non solo contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, abusate e uccise. Dal 2017 la Guardia costiera libica ha ricevuto oltre 100 milioni in formazione e equipaggiamenti (57,2 milioni dal Fondo fiduciario per l’Africa e 45 milioni solo attraverso la missione militare italiana dedicata). Soldi pubblici e risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo, impiegati invece per il rafforzamento delle frontiere, senza alcuna salvaguardia dei diritti umani, né alcun meccanismo di monitoraggio e revisione richiesto dalle norme finanziarie dell’Ue. Ugualmente le risorse utilizzate per l’implementazione degli interventi umanitari non hanno bilanciato i crimini contro l’umanità che sono commessi attraverso il Memorandum.

L’appello rivolto ai parlamentari si è scontrato, tranne alcune eccezioni, con un muro di gomma e un silenzio omertoso.
Così è. Nessuna attenzione. Sono stati davvero pochi i parlamentari, e di questo li ringraziamo, che hanno partecipato alla manifestazione di Roma della settimana scorsa e che si sono presi l’impegno di portare avanti il lavoro in Parlamento, tenendo viva l’attenzione su questo tema. Che per noi è un tema fondamentale. Noi Italia, noi Europa, siamo orgogliosi di essere paesi in cui il rispetto dei diritti umani è uno dei pilastri dello stare insieme delle nostre società. Vorremmo che questi stessi valori fossero condivisi anche quando si lavora sulla politica estera e sulle relazioni internazionali che hanno a che fare con i diritti fondamentali delle persone, con la vita e la morte di tantissimi esseri umani. Purtroppo ancora in pochi hanno recepito l’invito a fare la propria parte anche e soprattutto nelle istituzioni.

In questi anni il Mediterraneo è stato trasformato sempre più nel “Mare della morte”. In questo mare insanguinato, Emergency ha fatto salpare Life support, la sua nuova nave salvavita. Qual è il messaggio che Emergency lancia con questo varo?
È innanzitutto un messaggio di speranza per chi scappa da guerre, disastri ambientali, stupri, torture, e cerca nel Mediterraneo una via di fuga. Nel Mediterraneo ci sarà Life support. Una nave in più che s’impegnerà a cercare di salvare quante più vite possibile. Ed è anche un messaggio d’impegno come membri della società civile, perché pensiamo che sia responsabilità anche dei cittadini quella di aiutare, come prima cosa, ma poi anche ricordare a chi ha la responsabilità politica quali sono le azioni che andrebbero fatte. Life support andrà in mare grazie alle donazioni delle persone, non certo per contribuzioni pubbliche. Come Emergency lavoriamo in mare da tempo, con l’Oms e poi con Open arms, e per tutto questo tempo abbiamo sperato che la situazione migliorasse. Ma avendo riscontrato che la situazione non solo non migliorava ma che le persone continuano a essere abbandonate al proprio destino, e molto spesso a morire, abbiamo deciso che fosse necessario metterci la faccia e occuparci direttamente del salvataggio in mare con Life support. Noi conosciamo bene tante situazioni dalle quali queste persone scappano. Abbiamo lavorato in tanti paesi di origine, tra i quali la Libia. E tanti li abbiamo conosciuti in Italia. Ci hanno raccontato le loro storie, drammatiche, e vediamo quali sono le conseguenze anche di lungo termine su queste persone. E quindi ci sembrava necessario aggiungere anche questo pezzettino al nostro lavoro.

Sabato prossimo a Roma si terrà una manifestazione nazionale per la pace. Emergency è tra i promotori. Perché è importante parteciparvi?
È’ fondamentale essere in piazza a Roma, sabato prossimo, perché in questi otto e più mesi in cui la guerra è arrivata nel cuore dell’Europa, troppo spesso chi parlava di pace è stato zittito, messo in un angolo e in alcuni contesti addirittura criminalizzato. La pace è a fondamento anche della nostra Costituzione che nasce dopo il flagello della Seconda guerra mondiale e pone la pace al suo centro. Noi vogliamo far sentire la voce di tutte e tutti quelli che ci credono nella necessità della pace. Questa manifestazione ha raccolto uno straordinario consenso trasversale che non vedevamo da tantissimi anni, laici, religiosi, cattolici, protestanti, le comunità islamiche, i sindacati. C’è davvero la società civile, i cittadini di questo paese che chiedono che la politica faccia uno sforzo in più per arrivare quanto prima alla pace in Ucraina.

Gino Strada, il fondatore di Emergency, sosteneva che lui non era un pacifista ma che era irriducibilmente contro la guerra.
Troppe volte negli anni scorsi abbiamo visto imbracciare le armi con la scusa che si voleva portare la pace. Noi siamo assolutamente convinti che con le armi non si costruisca la pace. E anche quest’ultima vicenda ucraina lo sta dimostrando. Tutti gli sforzi sono stati fatti per sostenere la resistenza ucraina con le armi, nulla è stato fatto per facilitare il dialogo, la diplomazia, un percorso alternativo allo scontro armato. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: migliaia di morti, distruzione, e un conflitto che continua ad avere escalation e non invece a trovare una strada per la pace. Ma questa strada noi la continueremo a cercare, con tenacia, passione e senza arrenderci mai alla legge del più forte o a credere che la guerra si sconfigge con la guerra o che un mondo più armato sia un mondo più sicuro e più giusto. Nè lo potrà essere continuando ad erigere muri o a sbarrare i porti. Viviamo in un mondo in cui la globalizzazione ha portato da un lato ad un acuirsi delle diseguaglianze fra i super ricchi e chi è sempre più povero, ma dall’altro lato ha portato anche alla possibilità di vedere che c’è un altro modo di vivere. La migrazione è sempre stata parte della storia umana. Non è costruendo muri più alti o mettendo filo spinato o facendo blocchi navali o chiudendo porti che si può fermare. Andrebbe invece affrontata per quello che è. Una componente essenziale della storia dell’umanità che andrebbe gestita, regolata, facilitata, Noi faremmo molto volentieri a meno di essere in mare con una nostra nave se non ce ne fosse più bisogno, se ci fossero percorsi legali e sicuri per chi è costretto a lasciare il proprio paese, se gli Stati che hanno la responsabilità di soccorrere chi è a rischio di vita si assumessero le loro responsabilità. Finché ciò non accadrà, noi ci saremo. Da utopisti pragmatici, come è stato per tutta la sua vita Gino Strada.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.