Il generale Claudio Graziano, 66 anni, è stato negli anni scorsi capo di Stato Maggiore dell’esercito e poi Capo di Stato maggiore della Difesa. Da due anni è presidente del Comitato militare dell’Unione europea.

Generale il risultato delle elezioni negli Stati Uniti ha riacceso il dibattito sul ruolo dell’UE e le relazioni transatlantiche. Nelle principali cancellerie europee si acceso un dibattito inedito sul ruolo dell’autonomia strategica europea. Perché?
Ho seguìto con interesse il dibattito che si sta sviluppando tra le cancellerie europee ed in particolare tra Parigi e Berlino. Le diverse posizioni emerse negli ultimi giorni ritengo possano essere lette positivamente per due motivi:
1) Mi lasci dire che il solo parlarne è di per sé una buona notizia perché finalmente si sta sviluppando un dibattito paneuropeo che, quindi, interessa l’opinione pubblica europea;
2) Ritengo che argomenti attinenti alla difesa e sicurezza degli interessi comuni dei paesi membri non debbano essere divisivi ma rappresentare un momento di confronto costruttivo per una EU credibile come attore globale.
Deve essere chiaro che quando parliamo di strategic autonomy non intendiamo l’autonomia da qualcuno ma la capacità di agire da soli se necessario, con i partner quando possibile.

Le minacce alla sicurezza Europea vanno dal Sahel alla Libia fino al Mediterraneo Orientale e non mancano certo crisi che richiedano una risposta europea forte. Che cosa sta facendo l’UE?
Alla fine di questa crisi pandemica, il mondo continuerà a presentare tutto lo spettro delle minacce esistenti, da quelle tradizionali a quelle emergenti. Attualmente l’unione europea è impegnata con oltre 5.000 persone tra militari e civili in operazioni e missioni in 3 continenti. Non per caso 5 delle 6 operazioni militari oggi in corso in Africa. Una regione costretta ad affrontare simultaneamente crisi umanitarie, esplosione demografica, flussi migratori incontrollati, traffici illegali, terrorismo a cui si aggiungono i problemi derivanti dal cambiamento climatico. Tutte queste dinamiche che sembrano da noi distanti, impattano direttamente anche sulla nostra sicurezza. È importante sostenere i paesi della regione con tutti gli strumenti necessari, politici, diplomatici, economici e militari per intervenire alla radice dei problemi.

Ciò avviene in un momento particolarmente e delicato, la pandemia ha messo a dura prova l’unione europea?
Non c’è’ dubbio. la pandemia ha colpito il mondo intero e le nostre società in un modo senza precedenti, ancora oggi è impossibile fare una valutazione delle sue conseguenze, che indubbiamente saranno enormi, sia nell’immediato sia negli anni a venire. Ma l’attuale crisi dimostra la necessità di un’Europa più forte, capace di assumersi una quota maggiore di responsabilità globali ed in grado di controllare le tecnologie chiave e le capacità produttive. È più che mai importante costruire e preservare la sovranità industriale, tecnologica e digitale dell’Europa.

E quindi quali sono le iniziative per fornire le capacità necessarie a conseguire il livello di ambizione dell’UE nell’ambito della politica di difesa e sicurezza comune.
Diverse sono le iniziative strategiche avviate proprio quest’anno sulle attuali e future esigenze di sicurezza e di difesa dell’Europa, compresa la capacità dell’UE di svolgere il ruolo di Global Secutity Provider. La sfida non è facile ma è indispensabile intensificare gli sforzi per creare sinergie ed evitare duplicazioni e sprechi. Da qui la predisposizione di una serie di iniziative tra cui il fondo europeo per la difesa (EDF – european defence fund), di circa 7 mld, che ha lo scopo di fornire un sostegno finanziario, sia alle attività nel campo della ricerca, sia a quelle più direttamente finalizzate allo sviluppo e acquisizione di capacità militari, gettando le basi affinché l’industria della difesa dell’Ue mantenga in Europa il know-how.  Un asset strategico per l’economia del continente che nel 2019 ha dato lavoro a 890.000 persone con alta preparazione tecnica ed ha registrato un fatturato pari a circa 260 miliardi di euro. Un’industria che è volo al ed incubatore per circa 2500 piccole e medie imprese europee che sviluppano le così dette disruptive technologies.  In questo particolare momento è quanto mai importante, anche per l’Italia, essere presente e protagonista, aderendo alle iniziative, facendosi parte attiva dei progetti in atto ed investendo sia in termini di risorse sia di personale.