«Il comportamento del collega Maresca è legittimo, come stabilito dal Csm. Dal mio punto di vista sarebbe preferibile che un magistrato non si candidasse nello stesso luogo in cui esercita le funzioni e che, una volta impegnatosi in politica, decidesse di non rivestire più la toga. Ma questi sono solo alcuni dei nodi da sciogliere nell’ambito della giustizia italiana». Ne è convinto Luigi Riello, procuratore generale della Corte d’appello di Napoli, che ieri ha partecipato alla presentazione dell’anno giudiziario. Al centro dell’incontro temi come la lentezza dei processi, le carenze di organico, un codice di procedura penale da rivisitare e le incognite legate al processo da remoto. A catalizzare l’attenzione, però, è il caso di Catello Maresca, il sostituto procuratore generale che molti danno come candidato sindaco di Napoli e sul quale si è espresso ieri il Csm.

Presidente, il plenum ha archiviato il caso aperto in base alla segnalazione che lei aveva inviato. Come commenta?
«Non ho nulla da eccepire sulla decisione che rispetto profondamente. Per quanto mi riguarda, avevo l’obbligo di informare i titolari dell’azione disciplinare, in modo asettico e legato esclusivamente ai fatti, circa le notizie giornalistiche che insistentemente si occupavano della candidatura di Maresca. Ho assolto quest’obbligo lasciando al Csm qualsiasi valutazione dei fatti».

Il consigliere Nino Di Matteo ha definito la sua segnalazione come un eccesso di zelo…
«In quanto procuratore generale ho l’obbligo di informare gli organi competenti su quei fatti che anche solo astrattamente possono incidere sull’immagine e sulla credibilità di un magistrato che eserciti le funzioni nel mio distretto di Corte d’appello. Da parte mia non c’era alcun intento persecutorio nei confronti di Maresca che è un magistrato serio e preparato. Perciò mi stupisce la notazione di Di Matteo».

Si è già espresso contro il protagonismo di alcuni suoi colleghi. Che cosa pensa di quelli che si danno alla politica?
«Il mio è un discorso di carattere generale. Osservo che alcuni colleghi si lasciano andare a un certo protagonismo in trasmissioni che sono più salotti che non occasioni di riflessioni e di confronti costruttivi. Preferisco magistrati più riservati e meno vulnerabili alle civetterie mediatiche. Per il resto, è preferibile che un magistrato non si candidi nel luogo dove esercita le funzioni per non consentire ai maligni di fare illazioni sul lavoro che ha svolto prima di dedicarsi alla politica. Così come sono convinto che un magistrato che si sia candidato non debba più vestire la toga: se lo facesse, non godrebbe della credibilità necessaria».

Ha ricordato a Maresca queste cose e quelle ragioni di opportunità che dovrebbero spingerlo a fare chiarezza sulla sua eventuale candidatura?
«Non sono il tutore di Maresca che è un magistrato bravo e accorsato. Le ragioni di opportunità, poi, riguardano la coscienza e a me non spetta entrare nella sensibilità di altri. Maresca agisce come meglio crede assumendosene la responsabilità».

Oltre il rapporto tra politica e magistratura, resta il nodo della lentezza dei processi: come si scioglie?
«È un problema nazionale che impone una scelta di campo: procedere o meno a una riforma organica e strutturale del processo penale. Il codice del 1989 è come il vestito di Arlecchino, tutto toppe e rammendi. Bisogna intervenire per armonizzare le norme sul processo, accusatorio in primo grado e sostanzialmente inquisitorio in appello, e sulle impugnazioni il cui regime va decisamente razionalizzato, in sintonia con il sistema accusatorio, quanto all’appello e soprattutto al ricorso per cassazione. E poi bisogna rimediare ai mezzi insufficienti attualmente a disposizione degli uffici giudiziari».

A ciò si è aggiunta la pandemia: come se ne esce?
«La pandemia avrebbe dovuto insegnarci qualcosa, ma così non è stato. Alcune norme introdotte all’indomani dell’emergenza sono state improvvidamente cancellate in una seconda fase. Penso a quella che consentiva di notificare i provvedimenti di rinvio ai soli difensori degli imputati domiciliatari. In America è impensabile andare a bussare alla porta dell’imputato ogni volta con l’ufficiale giudiziario. come se fosse un piccione viaggiatore».

Il processo da remoto, però, non rischia di stravolgere le garanzie di legge?
«Il processo deve celebrarsi in gran parte in presenza, ma in alcuni casi non utilizzare gli strumenti che la tecnica ci mette a disposizione non è ragionevole».

Per esempio?
«Penso all’escussione di un teste qualificato come un ufficiale di polizia giudiziaria. È irragionevole che un funzionario, magari in servizio a Milano, venga richiamato a Napoli dopo anni per rispondere a tre domande. In tal caso il ricorso agli strumenti informatici ci consente di ascoltare il teste nel pieno rispetto della legge, senza addebitare costi allo Stato ed evitando sprechi di tempo».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.