Quando Arafat sapeva di essere ucciso
Iran, Russia e Cina sono i cattivi della storia, il “lavoro sporco” di Israele contro gli Ayatollah della bomba atomica e del racconto dell’ancella
L’Iran è alla guida da anni di un mostruoso complotto. Così quando gli israeliani hanno visto che la bomba era quasi pronta si sono decisi a cambiare la faccia del Medio Oriente

Un ricordo preciso, verificabile e di importanza gigantesca, anche se è convenuto a tutti i paesi del mondo – compresi gli amici di Israele – cancellarlo dalla memoria personale, collettiva e politica. Il mondo era in festa 32 anni fa quando tutti andammo nella Striscia per la grande cerimonia della consegna di Gaza da parte del governo israeliano sulla base degli incontri di Oslo del 1983, promossi da Bill Clinton, che per questo ebbe una nomina per il premio Nobel che venne preso, per quella storica giornata, anche da altre tre persone: l’ex primo ministro israeliano Shimon Peres, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, il presidente dell’Olp – e unico rappresentante dei palestinesi – Yasser Arafat.
Rabin e Arafat sono stati ammazzati: il primo, brutalmente assassinato da un nazionalista ebreo e Arafat – ormai lo sappiamo – avvelenato nel 2004 come rivelò il network televisivo del Qatar Al-Jazeera nel 2012 che poi costrinse l’autorità palestinese alla riesumazione delle spoglie di Arafat sulle quali non lavorarono équipes mediche internazionali, ma soltanto un gruppo di medici svizzeri dal cui certificato emerse che “Arafat aveva nelle costole e nel bacino una quantità di Polonio pari a 18 volte il valore massimo tollerato”. Quel veleno è lo stesso con cui sarà liquidato due anni dopo l’esule russo, mio collaboratore, Alexander Litivnenko a Londra. Il Polonio, fabbricato solo in Russia come detonatore delle testate nucleari, non era rilevabile con i normali strumenti e nel caso di Litvinenko il veleno fu identificato dai laboratori inglesi dell’Atomic Weapons Establishment.
Henry Kissinger, nel corso in un colloquio informale a New York nel 1997 mi disse: “Il mondo della civiltà non avrà pace finché potranno agire tre potenze nemiche dell’Occidente: l’Iran, la Cina e la Russia”. A quel tempo Putin era a ancora a San Pietroburgo e la Cina un gigante affamato di quote di mercato, prima fra tutte quelle americane. Il regime degli Ayatollah, nato alla fine del 1979, trasformò subito dopo la cacciata dello Scià Reza Pahlavi le gru edilizie in forche religiose. Il popolo iraniano e il mondo intero si trovarono ad avere a che fare con un mostro il cui caposaldo dottrinale era quello di spazzare dalla faccia della Terra lo Stato di Israele, oltre a impiccare bambine con il copricapo fuori posto. L’Iran dello Scià era certamente un regime corrotto e amato dai rotocalchi: “Che ne sarà di Farah Dibah ripudiata dallo Scià perché sterile?”. Gli iraniani vivevano come tuti i giovani di Teheran e le ragazze passeggiavano in minigonna. Il colpo di mano dei fanatici religiosi sciiti creò uno Stato simile a quello della popolare serie “I racconti dell’ancella”: la schiavitù delle donne destinate a procreare, obbedire e soddisfare gli appetiti di una classe che pratica lo stupro nelle prigioni. Ma la strategia del regime si delineò in maniera netta con il programma di costruire una bomba per spazzare via Israele.
Il regime consolidò i proxy (gli eserciti armati schierati fuori dai propri confini agli ordini di Teheran): in Libano le milizie Hezbollah che avevano raggiuto la potenza di due divisioni regolari; le milizie sciite irachene e poi gli Houthi che bloccano la navigazione attraverso Suez. E naturalmente Hamas, la creatura più perfida e all’interno della quale è stato concepito il diabolico piano del 7 ottobre. E poi l’Iran per sua politica ha alimentato con armi e denaro tutti i banditi, tagliagole e dirottatori in competizione con quelli di fede sunnita, come al Qaeda che portò l’attacco alle Torri Gemelle di New York l’11 settembre del 2001. La pressione su Israele crebbe senza sosta e lo Stato ebraico fu a lungo incerto se limitarsi a rappresaglie di dissuasione, condannato a vincere ogni guerra non potendosi permettere di perderne una sola: è davvero l’unico Stato che può legittimamente parlare di minaccia esistenziale come motivo necessario per usare le armi. L’Egitto di Anwar al-Sadat fu il primo Paese arabo a fare pace con Israele a condizione che Gaza – che era una striscia egiziana conquistata e colonizzata dagli ebrei che la trasformarono in una industria fioreria prodigiosa con acqua marina desalinizzata – diventasse patria per i palestinesi.
Lo so, come lo sanno tutti quelli che c’erano, perché ero lì come inviato del La Stampa insieme a tutti giornalisti della carta e della tv ad assistere alla nascita dello Stato palestinese con frontiere, bandiere, forze armate. Per quella fondazione ufficiale furono assegnati tre premi Nobel, di cui due ammazzati. I Fratelli Musulmani avevano intanto ucciso durante una parata anche il Presidente egiziano Sadat. Io c’ero, e nel mondo non si parlò d’altro. E oggi nessuno ricorda come Hamas, per ordine dell’Iran, abbia vaporizzato persino la memoria della nascita dello Stato di Palestina il primo luglio del 1994. Il resto è noto: Hamas prese il potere sgozzando tutti i membri dell’Olp e sopprimendo lo stesso grande unico leader palestinese, Yasser Arafat, perfettamente consapevole del destino che lo attendeva perché me lo diceva piangendo e abbracciandomi davanti alle sue guardie del corpo supplicandomi di non lasciarlo solo, balbettando in inglese e supplicandomi di restare con lui la sera in cui, nel 2004 lo intervistai per il Giornale all’Hotel Excelsior a Roma.
Sono stato l’ultimo giornalista ad avere visto vivo il Presidente palestinese. Tornò al suo compound e cominciò ad avere i sintomi dell’avvellemento da polonio, gli stessi di Sasha Litvinenko. L’Iran ha guidato tutto questo mostruoso complotto e quando gli israeliani hanno visto che la bomba era quasi pronta si sono decisi a cambiare la faccia del Medio Oriente. È stato allora che il cancelliere Merz ha detto che Israele stava facendo il lavoro sporco e tutti dovrebbero essergliene grati. Henry Kissinger si rallegrerà, nei pascoli celesti in cui si trova.
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