Chi farà da negoziatore nel conflitto israelo-iraniano? Quanto potrà sopravvivere il regime? Al termine del sesto giorno dall’inizio dei raid, gli scenari “macro” del conflitto sono ancora fluidi. La sola certezza è data dal teatro operativo. «L’F35 ha fatto la differenza», spiega un alto ufficiale dell’Aeronautica militare italiana, oggi in congedo, che desidera restare anonimo. «Nei primi due giorni, sono stati impiegati sicuramente loro». Le sue osservazioni nascono dalla competenza di pilota e comandante, sulla base di fonti aperte. «La difesa aerea iraniana è stata colta di sorpresa dalla low observability dei caccia multiruolo di quinta generazione, i Joint Strike Fighter», aggiunge. Nelle prime 48 ore, l’Aeronautica israeliana (Iaf) ha ottenuto la superiorità aerea dei cieli iraniani, replicando così altre grandi operazioni condotte con estrema celerità. Pensiamo alla guerra dei sei giorni, nel 1967, oppure a quella del Kippur, nel 1973, aperta e conclusa in meno di tre settimane.

La chiave: il rifornimento in volo

Le forze aeree hanno dovuto risolvere però delle sfide quasi senza precedenti nella storia mondiale dell’aeronautica. «Basta andare su Google Earth per accorgersi che il confine iraniano è a 500 miglia nautiche da Israele, 1.000 miglia nautiche per quanto riguarda Teheran». Nella maggior parte dei casi, le operazioni militari precedenti di grande portata, che vedevano le forze aeree protagoniste, venivano svolte in un contesto di contiguità territoriale. «Nella Seconda guerra mondiale – ricorda l’ufficiale – i Lancaster inglesi che bombardavano la Germania nazista avevano alle spalle sempre la madrepatria. Questa operazione ha imposto alla forza dispiegata di ricorrere a un enabler fondamentale: il rifornimento in volo. Senza quello, il piano sarebbe stato ineseguibile. In queste circostanze, inoltre, è vitale mantenere l’integrità della formazione. Un problema tecnico di un velivolo avrebbe potuto compromettere l’intera operazione».

I radar silenziosi

Il secondo elemento da considerare sono le rotte. I Paesi confinanti con Israele non concedono con facilità alle Iaf la “diplomatic clearance” (via libera) al sorvolo. È vero che Giordania e Iraq sono molto più accondiscendenti rispetto al passato, ma si tratta pur sempre di governi arabi, difficili da convincere a far finta di nulla. «C’è poi il ruolo poco chiaro dei russi», osserva la fonte. «La loro base militare a Latakia non è stata ancora smantellata. Sicuramente il passaggio degli israeliani è stato monitorato. Ed è ancora in corso. Per ovviare a questo problema, le Iaf possono aver agito in due modi: girando intorno ai territori più o meno ostili. Questo significa allungare molto le rotte. Oppure volando in modalità stealth, cercando così di non farsi intercettare. Il fatto che le difese aeree degli altri Paesi non siano di primo livello è stato certo un vantaggio». D’altra parte, il nostro interlocutore dà quasi per scontato il supporto degli Stati Uniti. Tra gli airborne radar impiegati in volo per fornire informazione, c’era quasi certamente il Gulfstream G550 CAEW, in dotazione anche all’Aeronautica italiana. «Si tratta di velivoli radar che, raggiunta quota di 46mila piedi, possono guardare e dare informazioni in maniera silente, via datalink».

Il ruolo di Stati Uniti e Russia…

Il terzo punto riguarda la tecnologia. «La forza d’attacco ha operato in completo silenzio radio-radar. Emission control, Emcon come si usa dire. Hanno fatto ricorso a datalink non intelligibili. O che si possono decifrare, ma il tempo che serve a farlo li rende obsoleti». Sul versante iraniano, la prima cosa da sottolineare è che la difesa aerea ha pagato anni e anni di sanzioni. Uno stato di arretratezza che l’ha resa inutile fin da subito. «Hanno fatto decollare due F14, radiati dagli Usa almeno un quarto di secolo fa». Ma il vero problema di Teheran non riguarda lo stato dei velivoli bensì i sistemi antiaerei. «Per la verità, Iaf ha annientato prima proprio le difese antiaeree con missioni Sead (Suppression of Enemy Air Defences) per poi abbattere i sistemi balistici, che non hanno capacità antiaerea, ma che avrebbero potuto colpire Tel Aviv. Poi con il grosso della forza, composta da F15 ed F16, si è concentrata sugli altri obiettivi, i centri di arricchimento di uranio e le sedi degli alti comandi militari».

L’Iaf ora può muoversi con maggiore sicurezza, visto che la distanza dalle basi ai target non è ovviamente riducibile. «La superiorità aerea permette di targettizzare meglio e agire con raid chirurgici, come stanno facendo».