Il 22 novembre Italia e Germania hanno firmato un accordo, ribattezzato “Piano d’Azione” per la cooperazione strategica tra i due governi e nell’Ue. Il documento sottoscritto da Meloni e Scholz rafforza la collaborazione in più di 50 settori, promuovendo l’integrazione su difesa ed energia, nuove tecnologie, mercato interno e politica industriale (centrali nel progetto italo-tedesco sono le questioni legate a mobilità e infrastrutture sostenibili). Oltre al focus sulle materie cardine dell’Unione, viene sottolineata la visione comune di un’Europa più forte e solidale, da realizzare tramite l’azione decisiva dei due importanti Paesi fondatori, che si assumono la responsabilità di plasmare il futuro dell’Ue in maniera sempre più stretta ed unita. Si tratta, in sostanza, di un trattato bilaterale, addirittura più complesso ed articolato del Trattato del Quirinale firmato con la Francia dal governo Draghi. Proprio Draghi mise le basi del nuovo concordato già nel dicembre 2021, tramite un’opera di più ampia triangolazione con, appunto, Francia e Germania. L’ultimo vertice Italia-Germania risaliva comunque al 2016, quando a Maranello si incontrarono gli esecutivi guidati da Renzi e Merkel.

Negli stessi giorni in cui veniva stilato il Piano, però, accadeva qualcosa di bizzarro quanto stridente: la rappresentanza di FdI al Parlamento europeo votava contro la proposta di riforma dei Trattati. Il Rapporto di riforma dei Trattati, elaborato da cinque relatori della Commissione Affari costituzionali, fondamentale nella sua ispirazione e aspirazione integrativa, per contenuti e finalità non si discosta affatto dallo stesso Piano d’Azione. In particolare, il Rapporto cerca di superare lo scoglio dell’unanimità, estendendo il voto a maggioranza qualificata nella gran parte del complesso delle politiche europee, incluse fisco e sicurezza. Il voto favorevole è arrivato grazie a parlamentari appartenenti tutti alla cosiddetta “maggioranza Ursula” (dunque, Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi), mentre i Conservatori europei (di cui fa parte il partito di Meloni), oltre agli Identitari (gruppo che ha la Lega come membro) hanno votato contro, senza eccezioni. Solo i Popolari della terza gamba governativa di Forza Italia hanno votato in maniera difforme tra loro.

Tale presa di posizione contraria di Conservatori e Identitari è stata motivata su basi e ragioni puramente ideologiche, quali la difesa “delle Patrie e delle loro sovranità nazionali”. I parlamentari europei hanno addirittura sostenuto, in maniera puramente strumentale, che il Rapporto perseguiva una prospettiva federale al servizio degli interessi francesi e soprattutto tedeschi. Oltre alla manipolazione demagogica, l’errore sta nel ribaltamento della stessa sostanza tecnica del processo integrativo: è esattamente il federalismo a costituire un argine ai pericoli del predominio di uno o più Paesi all’interno di un’unione di Stati. La supremazia dei soggetti più grandi e forti è anzi al cuore della logica confederale da loro avallata. Perseguire posizioni opposte su un terreno vitale come quello (anti)europeista, mossi dalla costante paura di accontentare percezioni e sentimenti del proprio blocco sociale ed elettorale di riferimento, è il nocciolo plastico dell’approccio del premier in Europa. Inseguire le oscillazioni umorali può forse far crescere momentaneamente nei sondaggi, ma di certo ridimensiona la portata della politica nazionale di medio e lungo periodo e dunque il ruolo da protagonista dell’Italia nell’Unione.