Sagre al posto di diritti
Ius Scholae, la Lega prova ad affossare e presenta 500 emendamenti: diritti calpestati

Ogni tanto capita, in Italia, che si torni a pensare alla cittadinanza. Partiamo dalla legge. La normativa in vigore è quella approvata il 5 febbraio del 1992 e si fonda sul diritto di sangue, in base al quale la cittadinanza è legata a quella dei propri antenati e si eredita alla nascita se almeno uno dei due genitori già la possiede. Per chi nasce in Italia ma da genitori entrambi stranieri le cose sono più complicate. In questo caso, il minore può richiedere la cittadinanza italiana dopo aver compiuto la maggiore età, ma solo per un anno di tempo e se ha avuto la residenza in Italia legalmente e ininterrottamente fino a quel momento. Tutti gli altri stranieri che risiedono in Italia possono diventare cittadini italiani esclusivamente per naturalizzazione o per matrimonio.
Così il testo della legge che oggi regola l’ottenimento della cittadinanza italiana, che ha più di trent’anni e non è cambiata da allora. Non è cambiata da quando al polso si aveva l’orologio, i telefoni cellulari pesavano mezzo chilo, per orientarsi non c’erano che le mappe cartacee e in Italia gli stranieri residenti erano poco più di trecentomila. Ora chi legge l’ora dalle lancette lo fa per vezzo, non c’è tasca senza telefonino o passante che non sia incollato al navigatore e gli stranieri in Italia sono più di cinque milioni, non contando tutti coloro che non dispongono di un titolo di soggiorno regolare. Ma, in trent’anni, qua e là di cittadinanza si è parlato, dicevamo. Fin dalla fine degli anni novanta si dibatte di ius soli, il diritto di cittadinanza legato al luogo di nascita, e di ius culturae, per cui gli stranieri minori acquisiscono la cittadinanza del Paese in cui sono nati e vivono, a patto che ne abbiano frequentato le scuole per un determinato numero di anni. E diversi sono stati i progetti di riforma della normativa attuale, che hanno variamente tentato di introdurre almeno in parte questi principi per regolare l’ottenimento dei diritti di cittadinanza.
Eppure in trent’anni nessun governo ha approvato delle misure che estendano le maglie della legge, ancora troneggia incontrastato il principio dello ius sanguinis e sono 850mila i figli di immigrati, nati o cresciuti in Italia, senza cittadinanza. Da qualche settimana però lo stallo decennale si è mosso. Il 9 marzo, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha adottato come testo base sulla riforma della cittadinanza quello del relatore Giuseppe Brescia, con i voti favorevoli di Movimento 5 Stelle, centrosinistra e Forza Italia – contro si sono espressi Fratelli d’Italia e Lega. Il testo di Brescia introduce il principio dello ius scholae, che prevede che possa acquisire la cittadinanza italiana il minore straniero nato in Italia o arrivato prima di aver compiuto 12 anni che abbia risieduto legalmente in Italia e abbia frequentato regolarmente, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici. Ma già alla seduta successiva, il 4 aprile, a Brescia è toccato riferire che nel mese trascorso sono stati presentati circa 730 emendamenti al testo, di cui quasi 500 avanzati dalla Lega.
Oggi, anche la fase dell’esame dell’ammissibilità della selva di emendamenti si è conclusa e circa 200 sono stati esclusi per vizi formali. La Commissione dovrà esaminare nel merito gli oltre 500 emendamenti sopravvissuti e si attendono i pareri del governo per la prossima settimana. Ma qual è il merito di un tale plotone di modifiche? Fra qualche rara proposta seria, gli emendamenti sopravvissuti vanno da quelli che propongono di riservare la cittadinanza solo a chi abbia avuto la media del 9 o del 10 durante il percorso scolastico a quelli che reclamano di negarla a chi abbia commesso atti di bullismo o abbia riportato condanne penali, fino a quelli che chiedono lo svolgimento di piccoli componimenti o interrogazioni “sulle tradizioni popolari più rinomate”, “sulle sagre italiane”, “sui prodotti gastronomici tipici”, “sulle festività nelle diverse regioni”, “sugli usi e costumi italiani dagli antichi romani a oggi”. Ecco, forse quest’ultimo è un suggerimento utile a comprendere come alcune parti politiche non vogliano cambiare il mondo da allora e il detto fieramente nazionale di Benedetto Croce che i giovani abbiano il solo dovere d’invecchiare forse l’hanno preso troppo alla lettera.
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