Proviamo ad immaginare una storia di fantapolitica (che non abbia alcun riferimento con la realtà). Ecco la trama. Lo scenario internazionale è destabilizzato; la lotta per l’egemonia vede in campo il vincitore della Guerra fredda, gli Usa, e un nuovo protagonista, la Cina, che da ‘’fabbrica del mondo’’ si è rapidamente trasformata in una grande potenza finanziaria, economica e tecnologica che estende la sua area di influenza sull’Asia, l’Africa, sulla stessa Europa (la c.d. Nuova Via della Seta è il filo rosso di questo disegno egemonico basato su di un ampio programma di infrastrutture e di reti di comunicazione in grado di interconnettere anche fisicamente la parte più importante della società globalizzata).

All’improvviso, in Cina scoppia un’epidemia di un virus, appartenente al ceppo conosciuto dei ‘’corona’’ ma sconosciuto; il contagio si diffonde rapidamente – perché non incontra anticorpi – passando da un Continente all’altro con una velocità favorita dalla mobilità delle persone e delle merci in un sistema mondiale interconnesso. Per farla breve, i leader cinesi capiscono la gravità della situazione (una terza guerra mondiale?) e si rendono conto che a vincere la nuova sfida sarà il Paese che riesce ad uscirne prima, anche a costo di misure draconiane e sacrifici dolorosi. Ma i dignitari del PCC conoscono anche le debolezze dei loro competitori e si convincono che saranno quegli stessi a condannarsi a un tragico destino. Il motivo è semplice: le popolazioni dei paesi ricchi e sviluppati e dotati di articolati sistemi di welfare non sono più capaci di soffrire.

L’Occidente si paralizza così da solo. Si disarma, si suicida per paura di ammalarsi. Il suo punto debole è l’opinione pubblica, sobillata da un’informazione che risponde solo a se stessa e all’indice degli ascolti. La democrazia si conferma il peggiore dei sistemi politici eccezion fatta per tutti gli altri. Ma le democrazie vincono le guerre quando sono guidate da grandi leader, in grado di convincere i propri concittadini ad intraprendere percorsi difficili e ad accettare sfide tremende. Ed è solo quando interviene il transfert tra il popolo e il leader, gli uomini liberi diventano più forti e determinati dei sudditi dei tiranni.

Nel 1938 Neville Chamberlain fu accolto da trionfatore al suo arrivo da Monaco nel 1938. Due anni dopo Winston Churchill, mentre piovevano le bombe su Londra, persuase gli inglesi a combattere con il suo ‘’ we shall never surrender’’. E, nel primo discorso da premier ai Comuni, promise ai sudditi di Sua Maestà:’’ blood, toil, tears and sweat’’. Boris Johnson, nel suo piccolo, ha cercato di ricordare agli inglesi che quando si va in guerra si muore, ma è stato costretto a cambiare linea in fretta e furia.

E chi muore in guerra? Intere generazioni di giovani. Adesso tocca ai più anziani. Ma questa logica non viene accettata dall’opinione pubblica che preferisce privarsi del futuro pur di salvaguardare un incerto presente. Così – nella nostra storia – la Cina s’impadronisce di un mondo impaurito, impoverito, paralizzato, che ha dissipato tutte le risorse per sopravvivere, che ha rinunciato volontariamente alle sue libertà pur di tutelare la propria esistenza. E presto si accorgerà di aver perduto su ambedue i fronti.

La vittoria della Cina è dipesa da una visione filosofica della vita, che non appartiene al mondo occidentale. Ed è proprio questa inadeguatezza etica che ha messo in evidenza la sua fragilità. Il coronavirus non è la sola e la più grave epidemia che il mondo sviluppato ha affrontato nella sua storia. La differenza non sta nel virus, ma in noi. La nostra è una sconfitta etica.