Ci vorrebbero le parole di Silvio Berlusconi e quelle di Walter Vetroni per ricordare, ora che Ottaviano Del Turco non c’è più, quel che successe il 14 luglio del 2008. Non la presa della Bastiglia, ma l’arresto del presidente della Regione Abruzzo e il suo trasferimento nel carcere speciale di Sulmona. Parole impossibili da ascoltare, perché Berlusconi non c’è più e Veltroni forse si dovrebbe troppo vergognare pur sapendo che Schlein farebbe lo stesso di quel che non fece lui, quando un esponente di vertice del suo partito fu messo in manette e lui seppe solo dire “sono certo che saprà dimostrare…”. E poi “si faccia luce”, quasi segretario degli elettricisti.

La condanna a morte di Del Turco

Ottaviano Del Turco, persona per bene, socialista, fu messo in manette all’alba dalla Guardia di Finanza, condannato a morte quel giorno. Poi le assoluzioni e quella vita che non era più tale, in un rifugio di oblio per dimenticare e infine per andarsene – giovedì scorso – alla soglia degli 80 anni. Ora tutti ricordano l’ex segretario aggiunto della Cgil di Luciano Lama, il parlamentare italiano ed europeo, l’uomo di governo, il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, l’estroverso pittore. Lui vorrebbe che si parlasse solo del suo esser stato un socialista, l’ultimo segretario del partito dopo che Craxi era stato costretto a una latitanza che era un vero esilio politico. Anni in cui essere socialista non era facile, nel mondo di Tangentopoli e di Mani Pulite, e gli agguati della magistratura.

Ottaviano non era un craxiano, ma soffriva per quel che era successo nel suo mondo. E poi era finito nel Pd di D’Alema e Veltroni, quando ormai Silvio Berlusconi era tornato al governo. Mai avrebbe pensato, lui che tanto amava la sua terra d’Abruzzo, che proprio lì – dove era stato chiamato a dirigere la sua Regione – la sua vita sarebbe terminata in manette. Era già accaduto nel 1992, negli stessi luoghi, quando – nella notte tra il 29 e il 30 settembre – una retata aveva raso al suolo un’altra intera Giunta regionale, di altro colore politico. Pirotecnico il metodo, discutibile il merito, assurdo il punto di partenza, la denuncia di un non disinteressato consigliere di opposizione. Risultato politico: scioglimento della Giunta e negli anni successivi assoluzione per tutti, tranne un residuo di falso per il presidente. Proprio come è capitato 15 anni dopo a Ottaviano Del Turco.

Il “teorema” dei pm e il silenzio del Pd

Quel 15 luglio del 2008 tutte le aperture dei quotidiani erano per lui, e non a suo favore. Ci fu l’eccezione del Riformista, che si appellò senza ombra di dubbio alla Costituzione e gridò “Del Turco è innocente”. Ci fu il presidente del Consiglio Berlusconi, impegnato a Parigi per l’anniversario della Rivoluzione francese, con 40 capi di Stato e di governo e il presidente Sarkozy, che mostrò immediato stupore per l’azzeramento della giunta abruzzese e ipotizzò un “teorema” dei pm. Subito dopo l’Anm, il sindacato delle toghe, strillò che si attaccavano l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Riflesso condizionato. Tutto già visto nel passato e previsto per gli anni successivi.

Quel che colpì di più fu il silenzio del Pd. Solo nove ore dopo la notizia, verso il tramonto, un comunicato del segretario del partito Walter Veltroni distillò quanto di più ipocrita fosse lecito partorire. Dalla vicinanza umana allo stupore, il numero uno del maggior partito d’opposizione snocciolò prima la richiesta che si facesse “piena luce nel più breve tempo possibile”. E nella frase successiva addossò all’arrestato l’onere di “saper dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati”. Uno schifo.

La gogna “per bene” sui giornali

C’è da stupirsi se il povero Del Turco, buttato in un carcere speciale, inseguito da “una valanga di prove” e da immediati provvedimenti che respingevano qualunque richiesta di alleggerimento della detenzione, in quanto il suo “profilo delinquenziale non comune” l’avrebbe portato a replicare i reati, si sia prontamente dimesso? I giornali fecero in gran parte strage della sua persona. Non esistevano ancora “Il Fatto” e “Domani”, ma Antonio Padellaro e Marco Travaglio fecero il loro lavoro sull’Unità, e Giuseppe D’Avanzo e Caro Bonini lo sistemarono per bene su Repubblica, con titoli di cronaca irridenti che parlavano di mazzette, mele e caprette. Sul Corriere ci fu un sensazionale editoriale di Angelo Panebianco che andrebbe ripubblicato oggi, visto che i problemi da lui posti sono ancora tutti lì. Basterebbe cambiare i nomi dei personaggi. Erano i giorni delle “leggi ad personam”, tutte sacrosante, se interpretate “erga omnes”, e se non fossero state pizzicate da una Corte Costituzionale con lo strabismo non di Venere, e in particolare il “lodo Alfano” che proponeva di sospendere i processi per le più alte cariche dello Stato.

L’appello di Panebianco al Pd

Panebianco aveva spiegato prima di tutto l’arresto di Del Turco come motivato dalla prevalente necessità di ottenere da parte della procura il “massimo impatto mediatico”. Si appellava poi esplicitamente agli uomini e alle donne del Pd. Come pensate di tornare a essere forza di governo, scriveva, “se non avete una vostra posizione sulla giustizia, una posizione che non si limiti a essere, come è sempre stato fin qui, una fotocopia di quella dell’Associazione nazionale magistrati?”. Finora, proseguiva l’editoriale, il Pd, sia nelle sue componenti Margherita che Ds, ha negato il potere discrezionale dei pm, e non ne vede le continue invasioni nel campo della politica. “Ha accreditato in sostanza l’idea che i problemi derivassero tutti, e soltanto, dalla natura corrotta del nemico del momento (Craxi, Berlusconi)”. Conclusione: scelga il Pd oggi la strada della discontinuità, lo faccia “pubblicamente e solennemente”, dia “una svolta decisa nella sua politica della giustizia”. Consiglio che rimase del tutto inascoltato, insieme ai suggerimenti di riforme, a partire dalla separazione delle carriere, di cui Panebianco è da sempre convinto.

Lungo è l’elenco dei governatori di sinistra caduti sotto i colpi dei provvedimenti giudiziari e delle spalle voltate del loro partito. Catiuscia Marini, Mario Oliverio, Marcello Pittella, per esempio. Il Corriere della Sera oggi ospita un articolo commosso di Paolo Franchi che difese i diritti di Del Turco allora e lo ribadisce oggi, dopo le tante assoluzioni. Manca l’appello agli uomini e alle donne del Pd perché separino le proprie carriere da quelle delle toghe. Ma sarebbe inutile. Sordi erano e sordi restano. Da Veltroni a Schlein, passando per tutti gli altri.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.