Il rapporto degli italiano con la guerra
La guerra tra Putin e le “truffe liberaldemocratiche” dell’Occidente e il ruolo da “pianeta a parte” dell’Italia
Ho passato una notte allucinata seguendo quel che dicono e fanno i grandi paesi dell’Occidente discutendo della guerra. Potete farlo facilmente: si va su YouTube, si cercano le conferenze e i dibattiti e si passano le ore. Di che discutono? Faccio una sintesi senza nomi anche se ce ne sono di eccellenti come Tony Blair, i segretari di Stato americani, ambasciatori, giornalisti premi Pulitzer che svolgono un’analisi divertentissima se così si può dire.
L’intervistatore chiede: “Secondo lei Putin è sempre stato così?”. La risposta: “No, fino al 2004 era un tipo duro ma normale a tavola si parlava in maniera diplomatica e scherzosa. Sembrava uno dei nostri. Lo abbiamo invitato nella Nato e girava voce che la Russia sarebbe entrata nell’Unione europea “E allora? Quando è cambiato?”, è la naturale e successiva domanda. Un ambasciatore americano dice che Putin si infuriò per la guerra in Iraq e che fu lì che cambiò strada. Quasi tutti convengono che fu l’Iraq a mandarlo in bestia. Sì, ma da qui all’invasione dell’Ucraina il passo è lungo. E così, sul divertente palcoscenico di YouTube decine di testimoni, protagonisti e testimoni rimettono insieme i pezzi dell’accaduto degli ultimi vent’anni e ne viene fuori una storia che sembra avere un senso perché ci fu un giorno in cui il rigidissimo ma anche atletico e sorridente Vladimir Putin disse: “Voi occidentali e le vostre maledette truffe liberaldemocratiche mi avete rotto le scatole. Da adesso rivoglio l’impero, sì proprio l’impero perché – l’ho detto e stradetto, non fate finta di non avermi capito – tutto ciò che fu russo nei secoli, russo deve tornare”.
Noi italiani siamo diversi, tant’è vero che anche il fascismo che voleva giocare agli imperi si mise sotto la luce del ridicolo e del brigantesco, Feroce ma mai serio. E se dobbiamo sbrogliare la matassa del nostro dna e scoprire come ci proponiamo davanti alla guerra, alle guerre, alla fermezza di fronte ai principi, si vede subito che siamo non solo un pianeta a parte, probabilmente un bellissimo pianeta ma i nostri abitanti somigliano ai personaggi più arcitaliani della nostra memoria: chi meglio di Gianburrasca può impersonare il lestofante burocrate che frega i soldi dalle tasche del fidanzato della sorella, o la guerra fredda raccontata da Giovannino Guareschi, che si fece qualche anno di galera per aver dato del traditore a De Gasperi, i cui deuteragonisti nella saga perfetta, don Camillo e Peppone, sono arcitaliani e, se occorre, anche con lo schioppo.
E capaci di inaudite e bastarde ferocie quasi sempre bastarde e vendicative, prive di decoro, salvo rari casi. L’atteggiamento di noi italiani nei confronti di una guerra, di questa guerra che sta dilagando per maree in tutto il mondo, somiglia e veste benissimo eroi del nostro Ottocento e Novecento, come il bambino di legno Pinocchio, ossessionato da una stalker punk con i capelli turchini, violentato in un campo di spacciatori detto “dei miracoli”, derubato degli zecchini d’oro del trafficante di esseri umani Mangiafuoco, impiccato a testa in giù come a piazzale Loreto e che poi, quando si rivolge al suo giudice si sente dire: “Povero ragazzo, sei chiaramente innocente, dunque ti condanno alla prigione”.
Forse fa eccezione quella disgraziata piccola vedetta lombarda che ogni mattino all’alba sale sul pero, grida “Gli austriaci! e cade con un fiore rosso che si allarga sulla sua fronte”. Sulla Grande Guerra sì, gli italiani trovarono la vera guerra ma fatta dalle nuove macchine mitragliatrici che da sole facevano il lavoro di una divisione e poi c’erano quegli altri soldati altrettanto italiani che stavano dall’altra parte in uniforme austriaca e che gridavano “Che tirè? No vedé che ghe z’è omini?” Da cui il canzoniere dell’orrore, “oh Gorizia tu sia maledetta”, “maledetti signori ufficiali, fuoco e mitragliatrici”, “cara madre ti scrivo morendo e quanto al capitano della compagnia i suoi alpini manda a chiamar per farsi dividere in pezzi dopo morto e spedire il cuore alla sua bella, ai suoi alpini gli manda a dire che non han scarpe per camminar, ma o con le scarpe o senza scarpe i miei alpini li voglio qua”.
Come colonialisti che si fanno un impero, sognano di farsi tutte le faccette nere trasformate in cheerleader da portarsi in parata e da trombare con comodo nella finzione di un matrimonio coloniale. Poi si entra nel buio profondo delle altre stragi di puro terrorismo sui civili.
Cavour mandò un minuscolo contingente sabaudo a combattere contro i russi in Crimea, ma fu qualcosa di simbolico: come dire “ci siamo ma non ci siamo”, o come la tenda sanitaria con cui l’Italia contribuì alla guerra delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord ma condotta quasi esclusivamente dai soldati americani del generale Donald McArthur dalla pipa di schiuma e il bocchino di paglia di mais.
Per associazione inspiegabile: Alcide De Gasperi che a Vienna fu informato del fatto che l’Italia aveva dichiarato guerra all’Austria, schierandosi con l’Intesa e il povero Alcide che nelle osterie di Trento aveva litigato a sangue sia con il socialista Cesare Battisti (che poi verrà impiccato in piazza come disertore asburgico), che col giovane attaccabrighe allucinato e affamato Benito Mussolini sempre col suo revolver in vista sulla tovaglia sul tavolo, ebbe un malore piangendo di vergogna davanti al primo ministro viennese incapace di consolarlo per dover tradire il suo impero, soltanto perché la sua madrelingua è di un Paese straniero di cui diventerà Primo ministro. Gli italiani, noi italiani, non abbiamo mai avuto modo di digerire, processare la guerra come frutto di cause. Per una sorta di salvaguardia naturale non ce ne importa storicamente nulla e nessun detto di bassa fureria fu più vero dell’abusato “o Franza o Spagna purché se magna”.
E invece, in queste ore – “as we speak, write and read”- una parte del mondo discendente dagli imperi (britannico, russo, cinese, ottomano) stanno discutendo con le diverse ma dialoganti mentalità imperiali sulla sorprese che la mancata fine degli imperi riesce ancora oggi a generare. Il loro argomento di discussione è: dove abbiamo sbagliato, chi ha sbagliato per primo, se si può riparare, e a quale condizione. E si sentono tutte le voci di sinistra e di destra ma che appartengono a uno spirito della tribus da cui siamo, o ci siamo voluti, tagliare fuori.
Quale il senso, ammesso che ne abbia uno, di quel che mi è capitato di osservare nella differenza fra gli altri e noi? La ricerca dell’auto accusa, la questione americana e quella europea, l’imperialismo di Putin che nulla ha a che fare con il Donbass perché lui rivuole la Santa Madre Russia: lo stesso spirito che distrusse l’equilibrio del suddito dell’Imperial regio governo Alcide De Gasperi, deputato a Vienna, quando apprese che la sua patria linguistica era in guerra con la sua patria imperiale.
© Riproduzione riservata








