Se avevano la fortuna di essere gemelli erano trattati bene. I genitori erano morti di fame o di tifo, o fucilati, o asfissiati nelle camere a gas. Ma loro, i bambini zingari gemelli, erano alimentati e curati con attenzione: dovevano essere sani, non dovevano ammalarsi, i loro organi interni dovevano presentarsi intatti alle investigazioni del dottor Mengele. Il quale uccideva i gemelli simultaneamente, onde sezionarne i cadaveri senza il pericolo che l’esattezza dell’esame comparato potesse essere turbata dallo scostamento temporale dei rispettivi decessi.

Senza il vanto di un rapporto gemellare, il bambino zingaro non aveva diritto a quel preludio ben alimentato e ben curato del proprio sacrificio: gli aprivano il cranio con una sega, per scrutinare i segni della contaminazione portata dal sangue inferiore al carattere e alla disciplina del sotto-uomo; gli propinavano veleno inglobato in una sferetta di zucchero, e registravano meticolosamente il progresso della corruzione dei tessuti prima di espiantargli il cervello; gli inoculavano parassiti malarici, bacilli della tubercolosi, ceppi di virus epatitici, trattamenti di cui il bambino zingaro era destinatario con l’altro rappresentante della razza inferiore, il bambino ebreo, per la ricerca di vaccini e presidi profilattici da apprestare a difesa del sangue puro germanico.

Ha conoscenza e coscienza di questi fatti chi strilla che la controparte politica vuole liberare “le borseggiatrici rom”? Ne ha conoscenza e coscienza il signor ministro Matteo Salvini? Si rendono conto, questo sconsiderato e tutti quelli che restano indifferenti o addirittura applaudono ai suoi spropositi, che discutere di “delinquenti rom” e di “nomadi ladri” significa reiterare gli slogan di quel gioiello politico-amministrativo nazista che fu l’“Ufficio centrale per la lotta alla piaga zingara”? Lo capiscono, perdio, che non si può, che non si deve, per rispetto della vita, per decenza umana, per rispetto delle ragioni elementari della civile convivenza, lo capiscono che a fronte di un comportamento qualsiasi, lecito o no, non si può e non si deve nemmeno immaginare un riferimento anche solo vago all’etnia, alla razza, a un gruppo sociale?

Lo capiscono che il corollario, se non l’intenzione, è che si spacci l’idea di un accostamento, di un’implicazione causale, di un rapporto di intimità tra quell’appartenenza e una pretesa attitudine maligna? Lo capiscono che è già successo, con l’uso delle stesse parole, con l’uso della stessa incolpazione su base etnico-razziale? Lo capiscono che anche una remota, minuta, routinaria e apparentemente innocua occasione di discriminazione di uno zingaro parla la stessa lingua del proclama che ne ha fatti uccidere cinquecentomila? Io voglio sperare che non lo capiscano. Io voglio sperare che sia solo una disperante ignoranza a determinare un’insensibilità così grave, così profonda, così oscena. Resta un fatto in ogni caso: esponenti politici che parlano così, e a questo punto chiunque non ne pretenda l’allontanamento, rappresentano una vergogna intollerabile del Paese.