La nostra Forza Italia
La manovra per far fuori Berlusconi e l’inferno programmato del G8 di Genova. “Sei un compagno o stai col Cav?”
Cara Tiziana,
questa nostra corrispondenza è particolarmente felice perché non parliamo delle stesse cose, non proveniamo dalla stessa storia professionale e neanche da un identico cammino politico. Ho già raccontato la mia vita di giornalista tra i fondatori di Repubblica, nove anni alla Stampa, dove non sapevano forse come liberarsi di me e mi proponevano di andare a vivere in Africa. Approdai al Giornale nel momento di massima disgrazia di Silvio Berlusconi che, dopo avere temerariamente sbaragliato il Pds e la gioiosa macchina di guerra di Achille Occhetto, si era seduto al tavolo di Palazzo Chigi con la soddisfazione di aver conquistato il ruolo di capo del governo.
“Come hai potuto diventare berlusconiano se eri un compagno?”
Dove credeva di essere? Al numero 10 di Downing Street? Il sistema politico italiano è fatto di nasse per aragoste affinché i vincitori vengano digeriti e sostituiti da chi non aveva vinto. Tu, Tiziana, eri già entrata alla Camera e avevi potuto prender confidenza con quel sistema assirobabilonese così lontano dalla Camera dei Comuni. C’era ancora entusiasmo tra le file berlusconiane, ma montava e si sentiva quel clima da guerra civile mentale per cui ci si toglieva il saluto tra parenti e amici d’infanzia: “Come hai potuto diventare berlusconiano se eri un compagno e ti ricordo benissimo alla tale e talaltra manifestazione? I più fichi eravamo noi socialisti”. Ma secondo la vecchia scuola, Berlusconi dava ancora del “comunista” agli avversari che rispondevano a palle incatenate.
La commissione d’inchiesta
Quanto a me, facendo il cronista ero inciampato su questo accidente del dossier Mitrokhin per cui tutti volevano una commissione d’inchiesta, e quando tu sei uscita dalla Camera io entravo al Senato per diventare dopo un anno di lungaggini il presidente della Commissione Bicamerale d’inchiesta che doveva scoprire che fine avessero fatto le schede che l’intelligence inglese aveva recapitato ai servizi segreti italiani e che erano state – come scoprimmo – murate in una casamatta, tanto per non volere né leggerle né scriverne. Berlusconi era ancora allegro e contento e non aveva capito ancora bene come gira il mondo, sicché gli venne addosso – malgrado tutti gli avvertimenti disperati che gli avevamo dato – il G8 di Genova che si svolse nella capitale ligure dal 19 al 22 luglio dello stesso 2001 in cui il Cavaliere Silvio Berlusconi era tornato al governo dopo lungo esilio, vincendo alle elezioni del 13 maggio di quell’anno tutto: carte, ori, settebello, primiera e quattro scope, convinto ancora una volta che tanto bastasse per governare.
L’inferno programmato del G8
La prima mazzata che non si aspettava a che gli venne addosso come un treno fu il disastro di quel G8 dei massacri inverecondi perpetrati da alcune formazioni di polizia contro manifestanti italiani e stranieri che erano venuti a protestare e fare casino come si faceva in tutti i paesi, contro la globalizzazione. Silvio Berlusconi era sicuro che una serie di aiuole di limoni avrebbero separato i manifestanti, ed era sicuro che essendo lui capo del governo non sarebbe successo nulla. E si volle occupare personalmente delle grandi piante che avrebbero decorato l’area del G8 e ne parlava come di quelle delle sue ville. Non gli era passata per l’anticamera del cervello l’idea che il G8 sarebbe stato un inferno programmato. Ricordo le notizie sull’arrivo di manifestanti maneschi della recentemente scomparsa Repubblica democratica tedesca e delle brutali reazioni poliziesche destinate a procurare danni devastanti e dolorosi e di cui vergognarsi, delle vittime insanguinate e sbalordite che subirono trattamento da dittatura latino-americana. L’Italia del secondo governo Berlusconi finì sulle prime pagine di tutto il mondo con le foto di ragazzine e ragazzini coperti di sangue, ammassati nei luoghi in cui erano stati concentrati e arrestati.
La manovra per far fuori Berlusconi
Il mondo della politica e del giornalismo va per le spicce, non stette tanto e decretò che in Italia si era instaurata una dittatura di estrema destra liberticida e violenta come tutte le altre. Posso dire, io come tanti altri avevamo fatto il possibile per convincere Berlusconi che una grande manovra era in corso per farlo fuori: si sarebbe svolta a Genova con la partecipazione di forze di tutti i generi e camuffamenti sia interne che internazionali e lui sarebbe stato maciullato alla maniera analoga a quella in cui vennero maciullati i ragazzi arrestati e colpiti. Su quei fatti si sono già svolti tutti i processi, ma nessuna ricostruzione giudiziaria potrà dar conto della partita di provocazioni e premeditazioni che misero in ginocchio l’immagine di Berlusconi, del suo governo, di Forza Italia e di ogni suo membro. E per buona dose uscì una classifica sulla libertà di stampa che certificò come la condizione del giornalismo italiano fosse nella fascia che includeva le dittature del Terzo Mondo. Ero a New York quando uscì quella classifica nella migliore edicola pakistana sulla 57esima strada, e il gestore mi chiese con tono di circostanza. “What is going on in Italy, sir?”. Nulla, risposi. Nulla che non sia già accaduto.
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