Gli equilibri precari
La mappa della nuova Siria sulla strada del “modello Libano”: Israele si impone a Sud, Kurdistan indipendente?
“Il comando generale ci ha affidato il compito di guidare il governo di transizione fino al 1° marzo” dichiara al-Bashir incaricato da al-Jolani. La svolta “moderata” sembra indicare che non seguirà il modello dell’Afghanistan talebano
Certezze, in Medio Oriente, ve ne sono poche. Le realtà che si ritenevano solide si possono sgretolare nell’arco di pochi giorni. E anche un regime come quello di Bashar al-Assad, erede di un sistema di potere creato dal padre Hafez, è naufragato sull’onda ribelle e di un abisso economico, politico e sociale derivante dalla guerra civile e contro l’Isis. E da cui Damasco non si è più ripresa.
Adesso, con la fine del regime e la transizione verso una nuova realtà, le domande sono molte. Una su tutte, cosa ha in mente davvero il leader di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), e cioè Abu Muhammad al-Jolani, per il futuro della Siria. La scelta di un primo ministro per gestire questo delicato passaggio di consegne segna quantomeno la volontà di imporre un percorso istituzionale. “Il comando generale ci ha affidato il compito di guidare il governo di transizione fino al 1° marzo”, si legge in una dichiarazione di Mohammed al-Bashir, l’uomo incaricato da Jolani. E una fonte di Hts ha spiegato questo governo di transizione sarà un esecutivo per gli affari correnti “fino all’avvio del processo costituzionale”. In cosa consisterà questo processo è difficile da prevedere, perché sul tavolo della Siria ci sono diversi scenari.
La repentina svolta “moderata” dei ribelli sembra indicare che il Paese non sarà un Emirato sul modello dell’Afghanistan talebano. Anche se per molti osservatori e dissidenti, quella di Jolani sarebbe una farsa. Per molti, l’unica opzione possibile è una Siria sul modello Libano, con Hts che si trasforma e in un Hezbollah sunnita e con i vari incarichi e i poteri suddivisi su base confessionale o, in questo caso, anche sulla base delle varie fazioni e milizie che hanno partecipato al crollo del regime. Ma quello che appare certo è che oggi, parlare di Siria, rischia di essere fin troppo semplice. Perché non c’è solo un cambio di regime, ma una vera e propria rivoluzione anche nella stessa idea dello Stato siriano.
Le sfere di influenza sono già cambiate
Tutta la comunità internazionale continua a ribadire un concetto: l’unità e l’integrità territoriale della Siria vanno tutelati. Ma se guardiamo a cosa sta succedendo in questi giorni, non si può non prendere atto che il Medio Oriente (e non solo la Siria) ha intrapreso una strada in cui si stanno modificando radicalmente gli equilibri e le realtà sul campo. Le sfere di influenza sono già cambiate. L’Iran è in ritirata e con esso anche l’importanza della cosiddetta Mezzaluna sciita. Caduto il “regno” alauita e indebolito Hezbollah, il mondo sunnita appare di nuovo in grado di guidare la Siria e ad avere più peso in Libano. Le potenze arabe e la Turchia hanno già iniziato a prendere contatti per capire come indirizzare i nuovi padroni della Siria nella speranza di attirarlo definitivamente nella propria orbita. E anche a livello di confini, oggi parlarne come di quelli disegnati sulle carte del primo Novecento è un compito arduo.
Siria spaccata in due
La Siria è quantomeno spaccata in due. Il nord-est è completamente sotto il controllo curdo e delle milizie guidate dalle Forze democratiche siriane. Elementi che non sembrano affatto pronti a cedere le armi né le proprie prerogative, visto che ai propri confini orientali hanno un esempio di autonomia: il Kurdistan iracheno. A Erbil, i curdi hanno una regione quasi indipendente, inserita nello Stato iracheno ma addirittura con proprie forze armate, i peshmerga. E questo può diventare un modello anche nella nuova geografia del potere siriano, in cui lo Stato centrale e Damasco rischiano di diventare un retaggio del passato. E se nel nord del Paese ci sono ampie zone di influenza turche, con tanto di operazioni militari effettuate in questi anni da parte di Ankara, il sud, quello vicino al Golan, è ormai una realtà in cui è Israele a dettare la linea. Benjamin Netanyahu è stato chiaro: le Alture già annesse rimarranno allo Stato ebraico “per le eternità”. E le operazioni di questi giorni segnano un passaggio fondamentale nella presa di coscienza dell’annessione ma anche della gestione del fronte siriano e dei rapporti con la comunità drusa.
L’Idf, accusato da Recep Tayyip Erdogan di approfittare del caos, ha smentito le notizie sulla presunta avanzata verso Damasco. “Le truppe sono presenti all’interno della zona cuscinetto e in posizioni difensive vicine al confine per proteggere il confine israeliano”, ha detto il portavoce. Ma la libertà di manovra dello Stato ebraico certifica una realtà sul campo che non è prevista dalle carte geografiche e dalla comunità internazionale. Ieri, il ministro della Difesa, Israel Katz, ha esortato i nuovo leader della Siria a non seguire “la strada di Assad”. Il ministro ha chiarito che l’Idf non rimarrà per sempre nella zona cuscinetto. Ma intanto le truppe israeliane sono in pianta stabile anche sul Monte Hermon.
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