Una nuova vita bucolica, lontana dal calcio e a contatto con la natura nella sua abitazione di Altavilla Vicentina, piccolo paese veneto dove vive con la moglie Andreina Fabbi e i tre figli. Roberto Baggio oggi ha 54 anni, da 17 non gioca più a calcio, mondo dal quale è uscito definitivamente il 23 gennaio 2013 quando ha rassegnato le dimissioni da presidente del settore tecnico della Federcalcio. “Non ci tengo alle poltrone. Il mio programma di 900 pagine, presentato a novembre 2011, è rimasto lettera morta, e ne traggo le conseguenze” disse fotografando appieno il declino del calcio italiano.

A pochi giorni dall’uscita de “Il Divin Codino” su Netflix (26 maggio), un film biografico che racconta la sua carriera da calciatore, Roberto Baggio ha rilasciato una lunga intervista ad Emanuela Audisio sul Venerdì in edicola il 7 maggio. Da anni vive senza pallone e si dedica alla vita in campagna, alla caccia e al buddismo: “Faccio la cosa più bella, sono a contatto con la natura, faccio dei lavori che mi danno grande soddisfazione. Mi accontento delle cose piccole ma sono quelle più belle, più vere alla fine”.

Ancora oggi, 17 anni dopo quel 16 maggio 2004 (giorno dell’ultima partita della sua carriera, Milan-Brescia), Baggio riceve pacchi di lettere da tutte le parti del mondo. “E’ una cosa bellissima, sorprendente, perché sono passanti tanti anni” dice. “Cosa vedono in Baggio dopo che il calciatore non esercita più? Forse la semplicità che mi ha sempre contraddistinto nella mia vita, forse questo apprezzano” commenta.

Ultimo attaccante italiano a vincere il Pallone d’Oro (1993), il Divin Codino ha segnato oltre 300 gol in carriera (di cui 205 in serie A): “Tutti quelli che hanno fatto parte della mia epoca oggi sarebbero felici di giocare in un calcio dove gli attaccanti sono protetti da queste nuove regole. Se penso solo ai 9 metri e 15 per un calcio di punizione… dico che mi sarebbe piaciuto anche ai miei tempi”.

Addio al calcio: “Non riuscivo a scendere dall’auto”

Lasciare (il calcio, ndr) mi ha ridato vita e ossigeno, stavo soffocando, troppo male, dolore fisico, quando da Brescia rientravo a casa, non riuscivo ad uscire dall’auto, chiamavo Andreina, mia moglie, che mi aiutava ad aggrapparmi al tetto e poi a far passare il corpo. Ho sempre saputo che il calcio aveva una fine. La gente si stupisce: come, non metti più gli scarpini, non ti viene voglia? No, e allora? Bisogna che ci mettiamo d’accordo: quelli che senza pallone si sentono appagati e felici sono dei falliti?”.

E poi ancora: “Spacco la legna, uso il trattore e la sera sono così stanco che mi gira la testa. Totti non voleva smettere, io non vedevo l’ora. Ibrahimovic è della stessa pasta di Francesco”.

Il film su Netflix: “Messo in risalto tutte le mie difficoltà”

“Le difficoltà che tutti possono incontrare nella loro vita, ho voluto mettere in risalto questo. Non ci dobbiamo arrendere, dobbiamo andare avanti e che dobbiamo avere, al di là di tutto, un grande amore verso i nostri genitori. Dare tutto, non avere rimpianti ed essere soddisfatti del percorso che abbiamo fatto”.

Le critiche a chi oggi va in tv: “Oggi professori, prima incapaci di palleggiare”

“Il calcio senza pubblico è tristissimo, mi fa piangere. Non guardo le partite, non mi divertono quasi mai. Mi dette disagio dare giudizi sugli altri, non vado in tv. Vedo colleghi che sentenziano da professori, ma me li ricordo incapaci di fare tre palleggi con le mani”.

Oggi Baggio segue il calcio femminile e il basket: “Tifo per i Los Angeles Lakers“.

L’addio a Firenze

“Sono riconoscente a Firenze perché quando ero rotto mi ha aspettato due anni, anzi tre. Io non volevo lasciare la Fiorentina, avevo 23 anni, stavo comprando casa, mi ero spostato, aspettavamo una bambina, ma ho scoperto che i proprietari uscenti, i Pontello, mentivano, mi avevano già ceduto agli Agnelli. Sono andato due volte a Roma a parlare con Cecchi Gori e la seconda lui mi dice: se non vai alla Juve non mi fanno comprare la società. E così sono passato per mercenario. Hanno scritto che non avevo carattere perché a Firenze con la Juve mi sono rifiutato di battere un rigore contro la Fiorentina, ma ero già d’accordo con il mio allenatore Maifredi che se ne sarebbe occupato De Agostini, perché il portiere era Mareggini con cui mi ero allenato per anni e che mi conosceva benissimo”.

Su Diego Maradona e Paolo Rossi

“Due persone a cui tutti eravamo legati, due esempi importanti nel calcio. Hanno segnato epoche e hanno fatto la storia del calcio mondiale. Ho avuto la fortuna di averli come amici. La morte di Paolo Rossi è stata ingiusta, si era rifatto una vita anche lui e meritava di avere più tempo. Se da Maradona ti aspettavi una fine improvvisa, da lui no”.

L’attacco a Sacchi: “Niente Europei per colpa degli schemi”

“Arrigo Sacchi non mi portò agli Europei del 1996 per dimostrare che gli schemi sono più importanti dei giocatori: non è arrivato ai quarti di finale… Non ce l’ho con gli allenatori, ma l’unico con cui mi sono trovato bene è Carletto Mazzone: un uomo libero e realizzato che non si metteva in competizione con i calciatori”.

Il rigore sbagliato a Usa ’94

“L’unico che nella mia vita ho tirato alto e non so perché. Ancora non me lo perdono: ho passato sere a sognare che lo buttavo dentro, ma quel giorno avrebbero potuto uccidermi e non avrei sentito niente”.

Competizione allenatori-giocatori: “Salvo solo Mazzone”

“Non ce l’ho con gli allenatori, credo che una certa gelosia da parte loro ci sarà sempre, noi abbiamo i piedi, loro la lavagna. L’unico con cui mi sono trovato bene è stato Carletto Mazzone, perché era un uomo libero e realizzato, non si metteva in competizione con i giocatori. Ad ammazzare me e tutti quelli come me è stato il calcio tattico, scendere in campo solo per neutralizzare gli altri. Ma se il gioco diventa solo un affare, che esclude il gioco, non ha più senso”.

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Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.