Nei giorni scorsi è andato virale, come si dice, un video in cui uno stupefatto capannello munito di cellulari riprende la sfuriata di un medico palestinese che, con la faccia grondante di sangue e due rami di vene a ingrossargli il collo, ne dice di tutti i colori alla “sporca leadership” di Gaza. Prima di essere portato via riesce a gridare che “Hamas non ci rappresenta”. Se è ancora vivo (improbabile) è tra quelli in aspettativa di impiccagione o di squartamento secondo il protocollo punitivo riservato dalla “resistenza palestinese” alle categorie senza diritto di vita, chi osa dissentire, chi rifiuta di sacrificarsi al martirio e di sacrificarvi i propri figli, gli apostati, le adultere, gli omosessuali.

Fa riflettere, questa piccola vicenda. Fa riflettere, banalmente, sul fatto che è certamente difficile, per una popolazione sottoposta a un giogo aguzzino, indotta all’odio e indottrinata a coltivare il culto della morte, trovare in sé stessa il coraggio e la capacità di ribellarsi a quella sopraffattoria disumanizzazione. Ma domandiamoci questo: come e quanto le società libere che guardano al conflitto, e che affettano preoccupazione e solidarietà per la sorte di quella gente, condannano la schiatta di assassini e strateghi dell’orrore che la usano come materia passiva del loro nichilismo sanguinario? Da quelle società presunte libere è venuto semmai un segnale diverso, a volte persino l’oltraggioso ammiccamento alle virtù “resistenziali” di quei macellai, appena deturpate da qualche comprensibile eccesso, e con buona frequenza il routinario addebito alla forza occupante – responsabile di genocidio e pulizia etnica – delle sofferenze di quel popolo soggiogato.

Ci si infiamma, a Roma come a Berlino, a Parigi come a Toronto e a Sidney e a New York, per l’umanità palestinese derelitta a causa del dominio sionista (laddove i palestinesi, notoriamente, vivono da sempre nel lusso e nella libertà in Siria, in Egitto, in Giordania, nello Yemen). Ma agli esponenti di quelle società in corteo non importa se il cosiddetto “Stato di Palestina” incarcera due milioni di persone nel programma di vittoria sul nemico da estirpare dal fiume al mare, e prepara ai propri cittadini un futuro di miseria e kalashnikov. Non gli importa di quelli che, come quel medico, vogliono uscire dall’incubo liberandosi dai propri carnefici anziché uccidendo gli ebrei.