Robert Redeker, filosofo francese che gli islamisti hanno pensato bene di condannare a morte dopo il suo commento alla lectio magistralis che Papa Benedetto XVI tenne a Ratisbona nel 2006, dichiarava alcuni anni fa che l’antisemitismo è la distruzione dell’Occidente e che l’antisemitismo islamico, sempre più spesso fuso con il terzomondismo della sinistra radicale, avrebbe incrinato in maniera irreversibile il modo stesso di stare al mondo di noi occidentali. Facile profeta, verrebbe da dire, considerando che nel 2019, un altro filosofo francese, di origini ebraiche, Alain Finkielkraut venne, letteralmente, accerchiato per strada da un nugolo di gilet gialli, esagitati islamisti da banlieue e apostrofato con epiteti antisemiti. L’anno prima, secondo fonti del Ministero dell’interno, la Francia aveva subito un drastico aumento di episodi antisemiti, ben 541, il 74% in più dell’anno precedente. Non può quindi stupire, con questo retroterra inquietante, l’onda lunga e putrida del nuovo antisemitismo islamo-gauchista, a volte mascherato timidamente dietro l’etichetta di antisionismo, in altri casi antisemitismo in purezza, che ha fatto seguito al massacro perpetrato da Hamas in Israele e alla reazione israeliana.

Le manifestazioni di piazza, gli slogan truci, le porte delle abitazioni di ebrei marchiate o addirittura incendiate, come avvenuto a Parigi; ad oggi si sono registrati, secondo il quotidiano Figaro, un centinaio di casi in pochi giorni. E i numeri vanno crescendo, per citare il Ministro Darmanin. La Francia sembra rappresentare un laboratorio incandescente di fusione tra l’antisemitismo islamista e quello dell’estrema sinistra. La rendita di posizione anticoloniale e marxista di una vasta parte del ceto intellettuale francese ha portato per lungo tempo a una sottovalutazione sbilenca del fenomeno antisemita sviluppato a sinistra, focalizzandosi quasi esclusivamente su quello praticato dai gruppi di estrema destra. Eppure a sinistra arde un fuoco antisemita che va sposandosi in uno slancio pericoloso alle parole d’ordine degli islamisti che dalle periferie dimenticate iniziano a passare dalle parole e dai motti all’azione violenta. Per quanto possa essere difficile da accettare per la sinistra, va sempre ricordato come sia stata la Francia ad aver ospitato le prime tesi negazioniste dell’Olocausto, con case editrici di estrema sinistra, come la Vieille Taupe, e autori, da Rassinier a Garaudy, che dalla sinistra venivano organicamente. E queste parole d’ordine, riadattate e rimodulate, ai fini di una qualche presentabilità, si sono trasformate da negazione della Shoah in negazione del diritto di esistere di Israele, con una ‘nazificazione’ retorica dello Stato di Israele a cui assistiamo in questi giorni.

Ma se la Francia presenta questi tratti oggettivamente preoccupanti, in quanto culturalmente e storicamente risalenti e in certa misura perverso nutrimento di quella ‘sottomissione’ che Houellebecq aveva denunciato, un antisemitismo virulento, caotico, magmatico, va diffondendosi a macchia d’olio in tutti gli altri Paesi d’occidente, dall’Europa agli Stati Uniti. L’osceno spettacolo di attivisti liberal che strappano dai lampioni e dai pali i ritratti degli israeliani rapiti da Hamas, spesso neonati o ragazzine giovanissime, di feroci canti di guerra intonati sulle scalinate di Stanford e di Harvard, dove gli studenti si indebitano fino al collo per essere indottrinati come nemmeno in una madrasa coranica, di oceaniche masse pro-Hamas di Londra e del Canada dove sventolano addirittura le bandiere dei Talebani e si invoca la distruzione di Israele, ci accompagna ormai su base giornaliera. In Svezia gli ebrei vengono presi di mira da giovani islamisti da ben prima dell’assalto di Hamas. ‘La Svezia ha un problema con gli ebrei’, titolava Il Foglio nell’ormai lontano 2017 e il Centro Wiesenthal già a maggio 2010 pubblicava un avviso ai turisti di origini ebraiche sulle zone del Paese scandinavo ritenute a rischio. D’altronde a maggio scorso in Svezia si è tenuto un forum pubblico pro-palestinese cui hanno preso parte esponenti di Hamas. In Polonia una giovane studentessa di medicina di origini norvegesi ha esibito un cartello che invitava a gettare Israele nel cestino della spazzatura della storia. In Germania la polizia ha dovuto addirittura proteggere i monumenti in ricordo della Shoah.

Non meglio va in Italia, dove tra Roma, Bologna e Milano è andato in scena il carnevale dell’odio antisemita, tra cori, slogan e cartelli che invitavano a ‘uccidere gli ebrei’, a ‘distruggere Israele’, dando piena legittimazione alle atroci azioni di Hamas; si urlava ‘fuori i sionisti da Roma’, laddove verrebbe da chiedere cosa si intenda per ‘sionisti’ perché assai spesso è solo un ipocrita mascheramento per ‘ebrei’ tout court. A Bologna una ragazza velata di nero ha pensato bene di esporre un cartello con su scritto ‘Rivedrete Hitler all’inferno’. E anche in Italia, come in Francia, la ‘nazificazione’ di Israele e degli ebrei, degli ebrei non di un generico ‘sionismo’, è un virus diffuso e che trova spesso cittadinanza nel ceto intellettuale, tra musicisti, letterati, attori e tra una certa parte politica che fino ad oggi è stata assai prodiga di puntuali attacchi a Israele, tacendo miserabilmente sui crimini di Hamas. Il punto è esattamente questo: per anni un frainteso senso di tolleranza ha permesso a questo antisemitismo che germinava a sinistra, e nei settori di una certa immigrazione, di diventare sempre più spavaldo e di fare un brutale salto di qualità.

È tragica realtà il fatto che sempre più comunità ebraiche, in Francia e in Italia, debbano consigliare prudenza e di non rendersi visibili ai loro correligionari. Scompaiono i simboli, le kippah, perché si ha paura, mentre là fuori scorrono fiumi di odio. Ma è un odio che non vincerà, perché come ha scritto Etty Hillesum, ‘si deve diventare un’altra volta così semplici e senza parole come il grano che cresce, o la pioggia che cade. Si deve semplicemente essere’.