Parole sussurrate, e tutte al diminutivo, come “spiraglino” e “ritocchino”. Il protagonista di questa possibile apertura del governo nei confronti della magistratura associata sulla separazione delle carriere, non potrebbe che essere lui. Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del consiglio, ruolo che conta più di quello di un ministro. Ministro quindi, ma soprattutto magistrato. Non alla maniera di quel romantico un po’ anarchico di Carlo Nordio, il riformatore garantista che oggi sta rischiando di pagare il prezzo più alto, tra il tribunale dei ministri, la corte dell’Aja e la, sia pur inutile, mozione di sfiducia delle imbelli minoranze parlamentari.

Ma alla maniera di ex toga ancora molto ben inserita nel mondo del sindacato cui è appartenuto, e nella sua corrente di Magistratura Indipendente, la stessa del nuovo presidente Cesare Parodi. Anche da non sottovalutare il fatto che Mantovano è forse il ministro più politico di tutto il governo. Non a caso ha le deleghe sulla sicurezza, ed è stato il primo a dare un piccolo pizzicotto, che il destinatario non ha dimenticato, al procuratore di Roma Francesco Lo Voi, con l’annullamento dell’uso dei voli di Stato. Prima che l’avvocato dei “pentiti” Luigi Li Gotti gli presentasse pochi ritagli di giornale ottenendo la trasmissione del fascicolo al tribunale dei ministri.

Alfredo Mantovano sa come trattare i suoi colleghi, e lo dimostra ogni giorno. Ma sulla separazione delle carriere deve anche fare i conti con il Parlamento. Glielo sta ricordando un altro esponente di governo che come lui è stato allevato nella cucciolata garantista di Forza Italia, il viceministro alla giustizia Francesco Sisto, il quale va chiarendo, in diverse dichiarazioni, che ormai tocca alle Camere qualunque decisione. Ben sapendo che anche una virgola cambiata porterebbe al raddoppio delle necessarie letture e di conseguenza alla dilatazione dei tempi.

Inoltre resta da capire se all’interno dell’Anm, il gruppo che ha vinto il congresso, Magistratura Indipendente, cioè l’interlocutore privilegiato di Mantovano, ha davvero le mani libere. Parrebbe di no, fin dalle prime ore. Cesare Parodi, non appena eletto al vertice del sindacato delle toghe, sembra già prigioniero politico delle altre correnti e dei loro talebani. È sufficiente riascoltare il resoconto delle ultime ore del congresso dell’Anm, una vera notte dei lunghi coltelli che fa rimpiangere la “sobrietà” di certi congressi di partito. Ma anche una serie di chat, riportate dal Fatto quotidiano, di amorevoli colleghi, già pronti a fare l’esame del sangue al neopresidente dopo le sue prime interviste. Lapidari: “è inadeguato”. Sentenza già emessa: “Questo dura poco, lo mandiamo via”. Oppure ce ne andiamo noi dalla giunta: “Roba da uscire un minuto dopo”. E poi, vietato toccare la suggestione per cui la riforma sulla separazione delle carriere, che pure tiene insieme le toghe nell’unico concorso, avrebbe il futuro segnato con il pm dipendente dal governo. Ce l’hanno ancora con Parodi: “Ma come fa a dire che non c’è il rischio di asservimento del pm all’esecutivo?”. Vietato dubitare, soprattutto vietato leggere il disegno di legge in discussione al Senato per quello che è, senza la lente distorta del sospetto, del retropensiero, del torbido retroscena.

È impressionante la capacità di orientamento che i protagonisti dello zoccolo duro del sindacato dei magistrati riescono a esercitare sui colleghi più ragionevoli, persino coloro che rivestono ruoli di vertice. Ha colpito molto il mondo degli avvocati quanto accaduto sabato scorso a Milano, dove si era riunita la cerimonia di apertura del loro anno giudiziario. Per la prima volta nella storia, all’assemblea sono mancati i saluti istituzionali dei vertici della magistratura ambrosiana. Assenti il procuratore Marcello Viola, la procuratrice generale Francesca Nanni, il presidente del tribunale Fabio Roia e quello della corte d’appello Giuseppe Ondei. Nel loro comunicato, in cui alludevano genericamente al clima turbolento in corso e a qualche dichiarazione non gradita di alcuni avvocati, avevano addirittura usato una sorta di carta intestata comune, quasi a dare maggior autorevolezza al gesto.

L’assenza nel corso dell’inaugurazione è stata più che altro lamentata con dispiacere da parte degli avvocati, o almeno dalla gran parte di loro. Ma più di uno, soprattutto quelli che vantano le migliori conoscenze nei palazzi romani, a partire da quelle delle “altre” toghe, quella dei magistrati sindacalizzati, parlavano di pressioni politiche interne che avrebbero condizionato i lavori congressuali dell’Anm che si stavano svolgendo negli stessi giorni. Lo dimostrerebbe anche il complicato lavorio di correnti che ha portato alla formazione della nuova giunta. Certo, la presidenza a Magistratura Indipendente era dovuta, visto che aveva vinto le elezioni.

Ma blindata da coabitazioni forti come quella che ha collocato un esponente di “Area” e della sinistra come Rocco Maruotti alla segreteria. Il neo eletto non si è fatto attendere. Non appena il presidente Parodi aveva chiesto, e immediatamente ottenuto, un incontro con la presidente Giorgia Meloni, il segretario si era affrettato a dire che l’incontro era inutile, e che lo sciopero del 27 era riconfermato. E anche, neppure troppo tra le righe, che l’unica modifica accettabile della riforma costituzionale sulla separazione delle carriere era la sua cancellazione in toto. Non pare clima da “spiraglini” e “ritocchini”. Ma forse non è un male.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.