Fino qualche settimana fa ne ignoravamo l’esistenza. “Coronavirus” era un termine per specialisti. Qualcuno magari ricordava che nel 2003 c’era stata la Sars, la Sindrome Respiratoria Acuta, ma difficilmente ricordava pure che fosse stata originata da un coronavirus.  E invece coronavirus sarà probabilmente la parola più ricercata su Google del 2020. Il nuovo coronavirus, con cui ci stiamo confrontando, è forse una variante di quello del 2003, con cui condivide solo l’80% del patrimonio genetico. Perciò è una specie di alieno, che presenta solo qualche vaga somiglianza con una specie già nota.

Quando non si sa con chi si ha a che fare, non si sa neanche come comportarsi. Perfino i virologi si sono trovati impreparati. Nel 2003, quando esplose la Sars, sviluppata anche quella volta in Cina, i turisti cinesi erano pochi e fu relativamente facile arginare la diffusione in Occidente. A meno di venti anni di distanza, la situazione è completamente cambiata. La globalizzazione ha mostrato effetti collaterali imprevisti. Non avendo mai fronteggiato in tempi recenti un’emergenza di questo genere, non era chiaro quale protocollo si sarebbe dovuto applicare e le autorità territoriali hanno agito in ordine sparso. Disorientamento comprensibile di fronte ai numeri di cui si disponeva. Facciamo un semplice esercizio aritmetico. Del tutto teorico, per fortuna.

Le statistiche ci dicono che le influenze stagionali coinvolgono ogni anno milioni di persone. Abbiamo i dati ufficiali e consolidati del 2017 e 2018. In entrambi gli anni, oltre 8 milioni di casi.
Il coronavirus è più contagioso del virus dell’influenza stagionale. In assenza di misure di contenimento, una stima conservativa consiste nel supporre che ci sarebbe stato un numero equivalente di malati. La letalità (così si definisce il numero di decessi dovuti a una certa patologia) in Italia per coronavirus si è registrato che è intorno al 2%.

Ebbene, il 2% di 8 milioni è 160mila… E molti di più sarebbero stati i casi gravi, seppur non mortali, quelli cioè che avrebbero richiesto la terapia intensiva. Il primo effetto sarebbe stato quindi il collasso del sistema sanitario, per l’impossibilità degli ospedali di accogliere le legioni di malati che avrebbero richiesto trattamenti energici. Questo scenario non è solo ipotetico, perché l’aritmetica non è un’opinione. È una stima realistica di quello che sarebbe potuto accadere.  E cosa è successo invece? La diffusione è stata minima. Due focolai di infezione in Lombardia e Veneto prontamente circoscritti. Altri episodi in giro per il Paese, ma senza il minimo carattere di diffusione epidemica. Poco più di 2mila casi, da confrontare con la stima precedente di parecchi milioni. Che conclusioni possiamo trarre?

Primo. La macchina di prevenzione sanitaria ha funzionato egregiamente. Lamentiamo a volte le inadeguatezze del sistema di tutela della salute pubblica, però non è questo il caso. Sarà perché nell’emergenza l’Italia dà il meglio di se? Forse, ma certamente, almeno sotto questo profilo, ci siamo dimostrati all’altezza della situazione, una situazione potenzialmente molto pericolosa. Le misure sono state drastiche, perfino draconiane ma, a mali estremi, estremi rimedi. L’alternativa, cioè essere accomodanti e indulgenti, l’avrebbero scontata quei 160mila.
Secondo. I provvedimenti restrittivi per gli abitanti delle zone rosse e i divieti di assembramento e aggregazione erano più che motivati, erano necessari. E quindi, seppur con rincrescimento, dovevano essere adottati. Ma una volta attuati i provvedimenti, l’allarme che si è scatenato non aveva più giustificazione. Se ci fossero state delle falle nei cordoni sanitari, se ci fossero stati segnali di propagazione del virus, ce ne saremmo accorti. Si sarebbero manifestati nuovi casi lontano dalle zone circoscritte e si sarebbero accesi nuovi focolai epidemici. Ma non è accaduto niente del genere! Anzi, i casi documentati riguardano persone che erano passate per le zone rosse e ne erano uscite. Quindi, l’impatto del virus, virtualmente devastante, è stato scongiurato, ma non così gli effetti della paura che si è diffusa.