Auto-quarantena forzata
“Non ti vogliamo”, maestra cinese aggredita non va più a lavoro: il caso a Napoli
Da un mese non riesce a recasi a lavoro. È la disperata testimonianza di una giovane insegnante, che insegna cinese in una scuola di Portici (Napoli). I fatti risalgono a qualche settimana fa ma sono venuti alla luce solo ora. “È stata vittima di atti di razzismo”, fanno sapere dalla direzione della scuola per giustificare l’assenza dell’insegnante da metà gennaio e tranquillizzare i genitori degli alunni. È una storia che dà la misura di come la psicosi può degenerare in violenza. Tutto inizia a metà gennaio, quando il coronavirus comincia a manifestarsi come un pericolo per la salute e si viene a sapere che il focolaio è in Cina. Le informazioni ufficiali cominciano ad accavallarsi con quelle meno attendibili. E cominciano a esplodere le reazioni più violente. L’insegnante viene presa di mira una mattina, e poi quella successiva, e poi un’altra ancora. Accade alla stazione di Gianturco dove la donna si reca per prendere il treno e raggiungere Portici.
È un viaggio breve, che diventa impossibile da un giorno all’altro, di fronte alla diffidenza e all’ostilità degli altri viaggiatori, e soprattutto per la reazione di chi la aggredisce spintonandola per impedirle di salire sul treno. “Non ti vogliamo”. “Non puoi salire”, le dice a muso duro qualche sconosciuto. L’insegnante ha paura, non reagisce. E dopo una serie di disavventure, di fronte a un muro di diffidenza e ostilità, decide di non andare più in stazione, rinuncia ad andare a lavoro, trascorrendo settimane in una sorta di quarantena forzata, non voluta né necessaria perché non è mai stata in condizioni tali da far sospettare un pur minimo rischio di contagio.
Passano i giorni e la situazione peggiora. A Gianturco, nella Chinatown napoletana, il cambiamento lo si percepisce solo percorrendo le strade principali del quartiere, quelle dei grandi centri commerciali cinesi. Il traffico di sempre è meno intenso, il viavai continuo nei pressi dei punti vendita all’ingrosso non si vede più. Gli effetti dell’allarme da coronavirus sono evidenti. E non soltanto da ieri, da quando i dati sui contagi in Italia hanno reso l’allarme più sentito. L’aggressione all’insegnante cinese risale a metà gennaio. Ci sono molti cinesi che in queste settimane hanno preferito mettersi in quarantena di propria iniziativa per precauzione ma anche per difendersi da eventuali aggressioni.
Ormai è psicosi. E ad amplificare tutto ci si mettono anche fake news sui social che generano allarmismi e alimentano tensioni. Mentre dalle istituzioni arrivano inviti a mantenere la calma, a usare il senso della misura, ad agire con ragionevolezza. Sono stati attivati numeri verde per dare informazioni e numeri di emergenza per garantire interventi tempestivi. Ma evidentemente non basta.
Il pregiudizio gira più rapidamente delle informazioni, e l’allarmismo fa alzare muri. Accade quindi che un’insegnanate, perché cinese, non riesce a salire sui mezzi pubblici, che i negozi cinesi restano vuoti e i supermercati, quelli italiani, cominciano a essere presi d’assalto anche a Napoli.
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