Da giorni la Francia brucia. La prima risposta non può che essere repressiva e ferma, perché garantire la sicurezza è uno dei compiti primari dello Stato. E Macron non può che essere applaudito per questo. Occorre però anche interrogarsi sulle cause della rivolta.

Il che non vuol dire giustificare o elaborare balzane teorie colpevoliste, ispirate dalla cancel culture americana e dal movimento Black Lives Matters, che vorrebbero vedere i francesi di oggi processati per il colonialismo dei nonni, come sembra suggerire l’estrema sinistra di Melenchon. Nè lasciare spazio d’altro canto all’opposto populismo di Zemmour e Le Pen.

Non è facile trovare una risposta alle cause della violenza che sta sconvolgendo il Paese:
certo è che i rivoltosi sono ragazzi giovani, talvolta giovanissimi. Non parliamo solo di seconde generazioni di immigrati, ma di terze. Francesi, sulla carta, a tutti gli effetti. Francesi che si sentono algerini, tunisini, molto più dei loro nonni e genitori. Che magari scelgono di indossare abaya e velo, contrariamente a ciò che vorrebbero i loro stessi genitori.

E allora un possibile colpevole, più che nel multiculturalismo, può forse essere individuato nel modello assimilazionista. La società francese, ha detto Manuel Valls, già primo ministro del governo Hollande, ha perso i suoi punti di riferimento. Sono crollate la Chiesa, il partito comunista, i sindacati. E l’Islam radicale ha dilagato. Nella forma dell’estremismo, e le aggressioni con movente religioso delle cronache francesi, gli attacchi antisemiti e anticristiani, ne sono un esempio, ma anche in un’ottica puramente identitaria.

Eh già, perché il grande fallimento dell’assimilazionismo e in generale delle nostre società sta tutto nella pretesa che l’uomo possa vivere senza la ricerca delle proprie radici, che la religione possa essere sostituita dal mercato o dallo Stato. Non è un caso se ad essere colpite sono state proprio le istituzioni.
Il punto è che le identità non si possono cancellare con un colpo di spugna. Nel tentativo di farlo, si apre semmai la strada al radicalismo.

Quelli che commettono violenze, non fraintendiamoci, sono delinquenti. E sicuramente il tema economico fomenta la rabbia: i loro nonni avevano speranze che i giovani non possono più coltivare. L’ascensore sociale si è rotto e difficilmente si aggiusterà a breve termine.
Ma al contempo, quella rabbia ci mette davanti al fallimento del modello di cancellazione delle identità religiose e nazionali che certe élite culturali portano avanti da decenni in Occidente.
Recuperare un nuovo umanesimo, che passi dalla visione dell’identità occidentale non come una colpa ma come una ricchezza e poi, dal confronto con le altre culture, appare un’esigenza non più rimandabile.
Integrazione delle identità, non cancellazione.