Quando l’antropologo britannico Gregory Bateson coniò il termine “schismogenesi” negli anni ‘30, studiando le comunità indigene della Nuova Guinea, difficilmente avrebbe immaginato quanto sarebbe diventato profetico per la politica americana del XXI secolo. Il concetto – letteralmente “origine di una divisione”, dal greco schisma (divisione) e genesis (origine) – descrive perfettamente il meccanismo di intensificazione dei conflitti, tipico della polarizzazione politica contemporanea. La schismogenesi è una escalation che trova continue conferme nell’attuale scenario statunitense, ormai segnato da divisioni ideologiche senza precedenti. Dati raccontano una storia inequivocabile. Da Eisenhower a Biden, l’approvazione presidenziale tra gli elettori del proprio partito è rimasta relativamente stabile, oscillando intorno all’80%. Ma il consenso tra gli elettori dell’opposizione è crollato drammaticamente: dal 50% durante l’era Eisenhower a un misero 7% nelle presidenze Trump e Biden.

Il punto di svolta? Ronald Reagan. Prima di lui, entrambe le linee di approvazione (sostenitori e oppositori) erano in calo generale. Reagan invertì la tendenza per i suoi sostenitori, consolidando la propria base elettorale e superando nuovamente l’80% di consenso interno. Ma la vera accelerazione della polarizzazione è avvenuta sotto due presidenti democratici: Clinton e Obama. Durante questi mandati, il consenso degli elettori repubblicani è precipitato, segnando un cambiamento irreversibile nella dinamica politica americana. “Quello che stiamo osservando non è semplicemente un disaccordo politico, ma una trasformazione fondamentale del tessuto sociale americano,” spiega Ezra Klein, autore di “Why We’re Polarized”. “L’identità partitica è diventata una super-identità che sovrasta tutte le altre appartenenze.”

La presidenza di George W. Bush offre una chiave di lettura del fenomeno. Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, il suo tasso di approvazione tra i democratici raggiunse un sorprendente 55%, creando un raro momento di unità nazionale. Tuttavia, entro il 2008, quel numero era crollato al 23%.

“Abbiamo bisogno di una tragedia nazionale per iniziare a vederci di nuovo come concittadini piuttosto che come avversari,” osserva la psicologa politica Lilliana Mason. “E anche questo effetto unificante è sempre più breve e fragile.”
Non è casuale che l’impennata della polarizzazione coincida con la rivoluzione digitale. Uno studio pubblicato su Science nel 2022 ha dimostrato come gli algoritmi dei social media amplifichino significativamente le divisioni politiche. “Gli algoritmi di piattaforme come Facebook e Twitter sono ottimizzati per l’engagement, e niente genera engagement come la rabbia e l’indignazione,” spiega Deb Roy, professore al MIT e fondatore del Center for Constructive Communication. “Questo crea un incentivo economico per la polarizzazione che non esisteva nell’era dei media tradizionali.” Paradossalmente, l’esposizione a opinioni diverse può aumentare, anziché diminuire, la polarizzazione. Un esperimento condotto da Christopher Bail di Duke University ha dimostrato che quando gli utenti di Twitter venivano esposti sistematicamente a opinioni politiche opposte, spesso rafforzavano le proprie convinzioni originali anziché moderarle. Le neuroscienze offrono una spiegazione: la polarizzazione contemporanea non è principalmente basata su disaccordi politici, ma su identità sociale. Il neuroeconomista Jay Van Bavel dell’Università di New York ha dimostrato attraverso studi di neuroimaging che quando le persone elaborano informazioni politiche, attivano le stesse regioni cerebrali associate all’identità di gruppo e all’appartenenza tribale. Nulla di più lontano dal concetto di “rispetto per le istituzioni”.

“Non stiamo assistendo semplicemente a un disaccordo su politiche pubbliche,” afferma Van Bavel. “Stiamo osservando due tribù che considerano ogni questione – dalle mascherine durante la pandemia al cambiamento climatico – come un altro campo di battaglia nella guerra culturale.”
E in Italia? La Meloni ha un’approvazione tra gli elettori del suo partito (87%) estremamente alta, mentre tra gli elettori dell’opposizione è bassa (18%). Un contrasto che si traduce in un rapporto di polarizzazione di 4,8 – elevato per gli standard italiani, ma ancora lontano dal caso americano.

I modelli matematici sviluppati da fisici e scienziati politici rivelano pattern inquietanti. Utilizzando equazioni simili a quelle usate per studiare le transizioni di fase in fisica, gli scienziati hanno individuato “punti critici” oltre i quali il sistema democratico può diventare instabile. “Siamo vicini a un punto di non ritorno?” si chiede il fisico Alan Kaufman. “I modelli suggeriscono che dopo un certo livello di polarizzazione, il sistema può passare improvvisamente da uno stato di cooperazione imperfetta a uno di conflitto aperto, simile a come l’acqua passa bruscamente da liquido a vapore.” La polarizzazione moderna ha assunto forme inedite. Uno studio del 2023 dell’American Political Science Review ha rilevato che il 44% degli americani considera i membri del partito avversario non solo in errore, ma “moralmente riprovevoli”. Questo sentimento si riflette nelle relazioni personali: il 20% degli americani ha interrotto un’amicizia o un rapporto familiare a causa di divergenze politiche negli ultimi cinque anni.

I matrimoni tra elettori di partiti opposti sono in netto declino: nel 2016 il 30% delle coppie aveva orientamenti politici misti, mentre nel 2020 la percentuale è scesa al 21%. Parallelamente, la tolleranza verso questi matrimoni è crollata: nel 1958 solo il 28% dei genitori preferiva figli che sposassero un membro del proprio partito, mentre nel 2016 la quota è salita al 55%. Le coppie politicamente miste mostrano minore soddisfazione familiare (47% vs 61% coppie omogenee).
Persino i consumi sono diventati simboli politici. E la frase anni 90 di Michael Jordan “Republicans buy sneakers too “, la possiamo archiviare. Un’analisi di YouGov ha mostrato che negli Stati Uniti la scelta di determinati marchi è diventata un indicatore di appartenenza politica. In particolare, nel settore automobilistico: i consumatori liberali tendono a preferire Subaru in modo più marcato, mentre i conservatori mostrano una predilezione per Ford. Nonostante questo scenario, esistono iniziative promettenti. L’organizzazione More in Common ha condotto “dialoghi strutturati” tra elettori repubblicani e democratici, dimostrando che dopo sole due ore di conversazione guidata, il 60% dei partecipanti riportava una riduzione del pregiudizio verso l’altro partito. Sta emergendo anche una tendenza di podcast e media indipendenti che promuovono il dialogo bipartisan. Podcast come The Glenn Show di Glenn Loury o The Fifth Column attirano un pubblico giovane e stanco della retorica polarizzante dei media tradizionali. La schismogenesi politica americana sembra quasi una legge fisica più che un fenomeno sociale. Ma forse, come tutte le leggi, può essere compresa e infine trascesa.