Emergenza covid
La scuola digitale è ingiusta: ricchi in rete, poveri offline
L’interruzione della scuola in molte parti del mondo assomiglia a una frenata interiore dell’intero pianeta: si è accesa una luce rossa di allarme intermittente per segnalare la vera emergenza annunciando lo stop dell’istruzione globale tradizionale le cui conseguenze, di qualità e forma imprevedibile, cominciano a essere indagate da molti osservatori. Un miliardo e seicento milioni di bambini e ragazzi di 165 Paesi non vanno più in aula. Soltanto in Italia sono oltre dieci milioni, dall’asilo nido alle medie superiori, gli scolari che in queste settimane hanno smesso di frequentare gli istituti dov’erano iscritti e restando a casa si stanno dedicando, chi più chi meno, alla cosiddetta didattica on line.
In un documento molto interessante prodotto dal Forum delle Disuguaglianze e delle Diversità e diffuso nei giorni scorsi da Marco Rossi Doria, si evincono alcune considerazioni che qui sinteticamente riassumo. Vediamo innanzitutto gli aspetti negativi: le scuole chiuse non stanno assicurando il presidio etico contro la malavita che soprattutto nelle periferie delle regioni meridionali da sempre rappresentano. Un ruolo, come sappiamo, prezioso per non lasciare esposti al richiamo della criminalità organizzata gli adolescenti più a rischio. Inoltre, in considerazione della scarsa qualità delle connessioni wi-fi presenti in numerose famiglie, stiamo assistendo al ritorno di una grave forma di sperequazione, come se nella nuova dimensione informatica ritrovassimo il vecchio tema dell’ingiustizia sociale: mentre nei licei meglio attrezzati le lezioni proseguono con scansioni accettabili, in troppi istituti di fatto risultano ancora sospese.
Se quindi numerosi allievi hanno la possibilità di elaborare in un contesto speciale com’è il gruppo classe, in qualche modo preservato grazie alle piattaforme digitali, quanto sta accadendo intorno a noi, molti altri ne risultano esclusi, privati del sostegno dei loro insegnanti, oltre che del rapporto fondamentale coi compagni di pari età. Accanto a tali amare riflessioni dobbiamo registrare anche alcune note positive, fra cui l’innegabile accelerazione tecnologica che la fase emergenziale giocoforza comporta, in quanto immette nella prassi scolastica modalità didattiche innovative, anche dal punto di vista valutativo, che in futuro potrebbero essere analizzate. In particolare, a causa del coronavirus, viene sancito l’anacronismo della lezione frontale. Più difficile è il superamento dello schema fisso da tutti ben conosciuto: spiegazione-compito da assegnare-controllo delle nozioni apprese-giudizio da formulare.
Eppure, se ci doveva essere un momento in cui porre in discussione il suddetto vecchio schema mentale, nel tentativo di sostituirlo con altre più efficaci pratiche tese a privilegiare esperienze conoscitive da realizzare sul campo delle operazioni, bene, questa occasione è ora davanti a noi: sarebbe imperdonabile lasciarsela sfuggire. Sulla partecipazione delle famiglie al lavoro giornaliero esistono opinioni contrastanti, ma specialmente per quanto riguarda gli alunni più piccoli, dovrebbe essere da incrementare proprio nella prospettiva di un rinnovamento strutturale dell’istruzione pubblica.
In questi giorni, parlando con alcuni ragazzi impegnati nella didattica a distanza, ho avuto l’impressione di cogliere in loro da una parte la scoperta di una fragilità che tutti ci lega, dall’altra la consapevolezza di rappresentare delle avanguardie preziose perché l’esperienza nella quale sono impegnati potrebbe risultare utile anche in futuro. Inoltre il rapporto che stanno avendo coi professori, nelle settimane dell’interruzione coatta, sembra più autentico rispetto a quello a cui erano abituati, come se il pericolo comune aiutasse finalmente a scoprire le carte uscendo dalla deleteria finzione pedagogica che spesso scatta fra l’adulto e il giovane.
Oggi, come ha dichiarato Giuseppe Bagni, presidente del Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti), «non è più lo studente che va a scuola, ma è la scuola ad andare da lui». Questo è l’aspetto secondo me più importante: se riusciremo a farne tesoro, potremo uscire a testa alta dal tunnel che stiamo attraversando. Certo il prossimo anno scolastico non potrà riprendere come se nulla fosse accaduto: chiunque intendesse continuare a ragionare secondo i modelli trascorsi, ad esempio l’idea di dover recuperare le parti del programma non svolto, calibrando col bilancino il sistema dei crediti e dei debiti, rischia di non cogliere la portata della sfida che dobbiamo affrontare: integrare la tradizione culturale del passato nel mondo digitale di oggi.
Stiamo parlando di percezioni mentali diverse da quelle novecentesche. Bisogna mettere a frutto i cambiamenti epocali in corso, senza rinunciare alla conoscenza a trecentossessanta gradi che soltanto il rapporto fisico personale e la perlustrazione dei territori, quando sarà possibile uscire di casa, possono consentire. Nei periodi di crisi diventa più facile sperimentare: adesso lo stiamo facendo perché siamo obbligati dalle drammatiche circostanze derivate dalla pandemia; domani potremo approfittare di questi giorni difficili per progettare una scuola nuova.
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