La solitudine di Volodymyr Zelensky non ha nulla di solitario né di silenzioso. Riguarda tutti.
E risuona, anzi rimbomba nel silenzio internazionale. L’America tace. Joe Biden era già stordito di suo, ora agisce come se lo sparo in Pennsylvania fosse rivolto a lui. Donald Trump elude le domande sull’Ucraina. La sua soluzione per la guerra è stata evocata troppe volte per ripeterla nel day after del gesto eroico. Meglio godersi gli echi del “combatti!” pronunciato con il volto solcato di rosso. Tanto, a spiegare cosa farà la Casa Bianca trumpiana ci pensa il neo-vice J. D. Vance: intimerà a Kiev un forte e secco “non combattere più”.

Biden non tentenna solo su candidatura

Stop agli aiuti militari, l’Europa che resta sola, fine delle ostilità. Tacciono i democratici americani, come se per sostituire il loro candidato ci fosse ancora tanto tempo: Biden tentenna su tutto salvo che sulla voglia di non mollare. E tace anche l’Europa ufficiale, impegnata nelle sue nomine e nella ricerca dei suoi equilibri politici.

La destra vuole contare, la sinistra guarda al centro, i popolari ringraziano e danno le carte. Ma nessuno guarda fuori dalla finestra, dove spiccano la personale road map di Viktor Orban e le sempre maggiori lontananze: quando parla il premier slovacco Fico, tace anche ogni idea di Unione politica.
Si può perdere una guerra per il solo fatto di non averla vinta. Sin dal primo giorno di quel tragico febbraio 2022, Zelensky ha provato a rendere di tutti la causa del suo paese aggredito. Riuscì nell’intento. Nella solidarietà atlantica che prontamente scattò, c’era però un patto non scritto: che l’avanzata russa fosse fermata presto.

Alla pace per sfinimento

Il fallimento delle sanzioni, la rabbiosa ostinazione di Putin e la rete di alleanze e connivenze che ha saputo costruire hanno creato il mostro. L’operazione speciale si è trasformata in guerra ordinaria e permanente. Si arriverà alla pace, ma per sfinimento. E a questo punto per Zelensky sono anche chiari i diversi scenari del “come”. Nel nuovo mondo disegnato dall’ormai favoritissimo Donald Trump, il suo Natale potrebbe essere segnato dalla pace dei cimiteri: pezzi consistenti di Ucraina ai russi, autonomie ampie a regioni filorusse, forze armate ridotte e limitate, Kiev città neutrale con inibizione ad alleanze militari.

Il declino di idee e le parole violate

Nel silenzio della politica, l’attentato a Trump ha un fragore che non si ferma. E guida le parole del presidente ucraino, che ora chiede ai russi di sedersi alla prossima conferenza di pace. E loro si permettono anche toni sprezzanti. Ma in questo leader invaso che offre un tavolo imbandito agli invasori, c’è il declino di idee che le generazioni nate nel dopoguerra hanno respirato da sempre. Libertà, democrazia, sovranità. Tutte parole violate. Bisognerebbe chiedere a certi “sovranisti” dei nostri tempi se non sentono l’assurdo di declinare questa parola sempre per sé stessi e mai per gli altri. La solitudine di Zelensky non è solo sua, è anche quella dei ragazzi che eravamo e che oggi sono sul punto di tradire la loro storia.

Sergio Talamo

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