Lo scenario
La tenuta dell’Unione Europea passa da Kiev: il mandato politico a Kaja Kallas e le basi per una politica estera comune
Sull’Ucraina, l’Europa si gioca il proprio destino. Era così il 24 febbraio 2022 e lo è ancora oggi. Ma dipende da noi, non da altri. Non possiamo continuare a esternalizzare le scelte decisive per il nostro futuro. Trump o Harris non avrebbe fatto la differenza: anche in caso di vittoria dei Democratici, le ragioni strutturali che impongono all’Europa di avanzare nell’integrazione sarebbero rimaste immutate. È così da vent’anni. Certo, la rielezione di Trump ha impresso una forte accelerazione, sparigliando diversi contesti in cui l’Europa è direttamente coinvolta. A partire dall’Ucraina, dove ipotesi che fino al 5 novembre sembravano ancora lontane rischiano ora di concretizzarsi nel giro di pochi mesi. È in questo contesto che si inseriscono le discussioni tra i leader europei, il presidente ucraino Zelensky e la NATO sui piani di pace e sulla possibile istituzione di una forza europea di peacekeeping in Ucraina. Non possiamo affidarci passivamente agli effetti della presidenza Trump per far avanzare l’Europa, né limitarci a reagire alle circostanze. Questo deve essere il momento per rilanciare un’integrazione più profonda.
Il mandato a Kallas
Italia, Francia, Germania, Polonia e Spagna – gli stessi cinque Paesi che, insieme al Regno Unito, hanno recentemente firmato una dichiarazione congiunta di sostegno all’Ucraina – dovrebbero conferire un mandato politico chiaro all’Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza, Kaja Kallas, per rappresentarli nelle future negoziazioni sulla questione ucraina. Un mandato che potrebbe essere rafforzato da un voto nei rispettivi parlamenti nazionali, essendo la politica estera una prerogativa degli Stati membri. Si tratterebbe di partire dai cinque Paesi più grandi, lasciando però la porta aperta agli altri membri dell’Unione che volessero aderire alla stessa procedura.
I benefici
I benefici di questa mossa sarebbero molteplici. Anzitutto, aumenterebbe la credibilità e il peso della posizione europea ai negoziati di pace, dimostrando che l’unità prevale sui conflitti interni. Inoltre, trasmetterebbe ai cittadini europei il messaggio che un’Europa capace di parlare con una sola voce non è un’utopia, ma una possibilità concreta e vantaggiosa. Infine, aiuterebbe a superare la dicotomia sterile tra pacifismo e militarismo, riaffermando il primato della politica. La deterrenza, pur essendo una condizione necessaria, non è sufficiente: è indispensabile una forte iniziativa politica. Questo lo aveva già compreso Alcide De Gasperi, che nel 1951, durante colloqui privati con il Segretario di Stato americano, criticò lo squilibrio a favore dell’aspetto militare nella politica di contenimento del comunismo, ritenendo prioritario promuovere temi positivi come la cooperazione economica e la pace, ovvero questioni eminentemente politiche. Da quella riflessione nacque l’esigenza di trasformare l’idea della Comunità Europea di Difesa in un embrione di Europa politica e federale. Un’intuizione, quella di De Gasperi, ancora valida oggi e sempre più necessaria, soprattutto se si concretizzasse la presenza di un contingente europeo in Ucraina. In tal caso, sarebbe fondamentale spiegare chiaramente ai cittadini europei la cornice politica di una decisione tanto rilevante, soprattutto se richiederà un impegno economico e umano prolungato. Anche per questo sarebbe cruciale conferire quel mandato politico all’Alto Rappresentante, gettando finalmente le basi per una politica estera comune.
Dal 20 gennaio
Un ultimo punto, tutt’altro che secondario: chi potrebbe promuovere questa proposta? L’Italia, a partire dalle sue due principali forze politiche, seguendo, così, l’appello del Capo dello Stato a “ricercare e trovare convergenze e unità su alcuni grandi temi”, tra cui “la difesa e la sicurezza dei nostri concittadini”. Per la Presidente del Consiglio, sarebbe un’occasione per dimostrare nei fatti la sua centralità nella politica europea, sfruttando da un lato l’asse con Trump e von der Leyen e, dall’altro, collaborando con la Polonia di Donald Tusk (dal 1° gennaio alla presidenza di turno dell’UE), prima dell’insediamento del nuovo esecutivo tedesco. Per il PD, che ha l’europeismo nel suo DNA, sostenere questa iniziativa significherebbe avanzare verso quell’indispensabile Europa geopolitica, capace di incidere di più ed essere attore di pace. Non solo; attraverso questa iniziativa, il PD contribuirebbe anche ad approfondire le divisioni all’interno delle destre europee, unite su tanti dossier, ma divise sulla questione ucraina. Non sappiamo effettivamente cosa succederà dal 20 gennaio, ma una cosa è certa: se vogliamo essere protagonisti come Europa unita, dipende solo da noi e l’Italia può giocare un ruolo centrale. L’occasione per agire è ora. Sta a noi coglierla.
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