Con la sentenza del 16 luglio scorso la Corte di Giustizia europea ha stabilito che la normativa introdotta dalla riforma del 2015, laddove impone alle banche popolari la soglia di 8 miliardi di attivo al di sopra della quale esse sono costrette a trasformarsi da cooperative in spa, rappresenta «una restrizione alla libera circolazione dei capitali» vietata dall’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.  Secondo la Corte infatti la limitazione dell’attività economica che può essere esercitata dalle banche popolari cooperative può dissuadere investitori dall’acquisire una partecipazione nel capitale di dette banche e costituisce, di conseguenza, una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in linea di principio, dall’articolo 63 TFUE.

Il Giudice del rinvio dovrà pertanto verificare se nel caso concreto ricorrano tutte le condizioni che possano giustificare tale oggettivo ostacolo alla libera circolazione dei capitali: come ribadito dalla sentenza europea non è infatti sufficiente il perseguimento di un obiettivo di interesse generale ma è necessario anche e soprattutto che il provvedimento nazionale sia realmente idoneo a garantire la realizzazione di tale obiettivo e che sia proporzionato, non ecceda cioè quanto necessario per il suo raggiungimento. Che la trasformazione obbligatoria da cooperativa a spa al fine di favorire il ricorso al mercato del capitale di rischio, costituisse davvero una scelta senza alternative, o comunque quella più proporzionata, è difficilmente sostenibile. I fatti dimostrano, al contrario, che banche a voto capitario esistono e continuano ad esistere anche se di dimensioni di gran lunga superiori agli 8 miliardi, ad esempio in Francia, Germania, Austria, Olanda e Finlandia ed esse non evidenziano, negli stress test della BCE, esiti mediamente peggiori rispetto al campione delle banche aventi forma di spa.

Parliamo di 6.773 banche cooperative con 71 milioni di soci, 4.504 miliardi di euro di raccolta e 4.450 di impieghi. Di questi, gli istituti bancari che superano gli 8 miliardi di euro di attivo sono 8 in Germania e 5 in Austria; in Francia il sistema banche popolari e casse di risparmio comprende al suo interno 10 banche popolari ciascuna con un totale attivo superiore agli 8 miliardi e all’interno del Crédit Agricole, sia il Crédit Lyonnais sia 30 su 39 banche regionali superano tale soglia.

Illuminante in proposito è quanto scritto a commento della riforma dal Prof. Marco Lamandini, giurista di chiara fama e non solo in ambito nazionale, che dopo aver ricordato come la forma giuridica di popolare non abbia mai rappresentato un ostacolo giuridicamente insormontabile a processi di acquisizione, afferma: «L’impressione che la riforma abbia prescelto uno strumento forse non del tutto proporzionato rispetto all’obiettivo (dichiarato) di assicurare una maggiore capitalizzazione delle popolari maggiori sembra, anzitutto, trovare conferma nel fatto che, in un eccesso di rigidità semplificatoria ispirata verosimilmente da un (malinteso) principio di precauzione, la trasformazione obbligatoria è disposta per tutte le popolari il cui attivo superi gli 8 miliardi di euro. Nessuna deroga è prevista per le popolari che, pur superando tale valore dell’attivo, soddisfino già pienamente tutti i requisiti prudenziali in materia di fondi propri o, quantomeno, che presentino consistenze del patrimonio di vigilanza allineate ai migliori della classe, adottandosi come riferimento quella delle banche spa. Come mai? Vi sono forse preoccupazioni prospettiche di tenuta patrimoniale del modello che non emergono dagli stress test reiteratamente effettuati negli ultimi anni dalle autorità di vigilanza? O si è finito per “fare di tutta l’erba un fascio”?».