Oggi la sua eredità è nelle nostre mani
La voce di Navalny non si è mai spenta anche se Trump negozia con l’assassino
A un anno dall’omicidio, il dissidente vive ancora nella resistenza contro la tirannia di Putin. Scendere in piazza, protestare e difendere l’Ucraina: solo così renderemo onore al suo sacrifi cio

Di Alexei Navalny si è detto tanto, forse tutto. Dopo la sua morte, c’è chi ha cercato di trasformarlo in un eroe e chi, con lo stesso veleno della propaganda che lo perseguitava in vita, ha tentato invano di distruggerne la memoria. Navalny avrebbe potuto essere la guida, il simbolo di cui il popolo russo aveva bisogno e purtroppo non lo è stato. Ridurlo ora a un’icona immacolata significherebbe semplificarne la storia: nonostante l’incessante lotta contro il regime di Putin, la sua figura ha sempre diviso il fronte del dissenso in Russia e ancora oggi continua a suscitare dibattiti tra coloro che si oppongono alla tirannia e alla guerra d’invasione russa contro l’Ucraina.
Navalny è stato ucciso
Ma una verità è incontrovertibile: Navalny non è morto; è stato ucciso. Un anno fa, il 16 febbraio 2024, il regime lo ha assassinato nella colonia penale di Yamalo-Nenets. Il motivo del suo omicidio è evidente, se solo proviamo – con un difficile esercizio di empatia – a guardare i fatti dalla prospettiva del despota che governa la Russia da oltre vent’anni. Alexei era scomodo. Fastidioso. La sua determinazione, la sua resistenza alla persecuzione, la sua capacità di sfidare il potere lo avevano reso una spina nel fianco di Putin. La sua voce libera e ostinata era quel ronzio incessante che minacciava di incrinare la fragile e artificiale architettura del regime. Perché la forza delle dittature risiede nel silenzio, nella paura, nell’apatia della gente. Ma Navalny sapeva rompere il silenzio, sapeva parlare e, soprattutto, sapeva farsi ascoltare.
Il potere non è privilegio ereditario
Mentre Putin ha insegnato ai russi a guardare alla politica con disgusto, come a un affare sporco riservato ai corrotti, Navalny ha dimostrato che la politica può e deve essere partecipazione, impegno, responsabilità. Si è battuto per far crescere una società civile in Russia, per far capire ai cittadini il senso della loro forza. La sua missione non era diventare presidente, ma far credere ai russi che il loro voto potesse contare, che il potere non dovesse essere un privilegio ereditario, ma qualcosa da conquistare con il consenso. Anche quando gli attivisti non erano d’accordo con lui, li spingeva ad agire, a prendere posizione, a impegnarsi. Non voleva solo opporsi a Putin: voleva costruire un’alternativa.
Cosa ha scatenato l’uccisione di Navalny
Per questo, per molti di noi, Navalny è stato la speranza. La speranza che la Russia potesse cambiare, che il dissenso potesse nascere e crescere, che il sistema potesse essere combattuto e sconfitto. E proprio per questo Putin non ha ucciso solo Navalny. Quel 16 febbraio ha cercato di assassinare anche la nostra speranza. All’inizio, la sua morte ci ha lasciati paralizzati. Sembrava che la speranza fosse davvero morta con lui. Ma non lo era. Abbiamo trasformato il dolore in azione. Abbiamo eretto monumenti commemorativi nelle città europee – a Roma l’“Oliva di Navalny”, a Milano un nuovo memoriale che verrà inaugurato a breve. Siamo scesi in piazza per protestare, per condividere il lutto, per impedire che il suo sacrificio venisse dimenticato. Abbiamo scritto lettere ai prigionieri politici, chiesto con ancora più forza ai leader europei di sostenere l’Ucraina. E qualcosa è cambiato: siamo diventati ancora di più. La brutalità del suo omicidio ha aperto gli occhi a chi prima esitava, a chi aveva paura, a chi credeva che opporsi fosse inutile. Oggi sono con noi. Oggi siamo più forti.
Navalny e la nuova America di Trump che negozia con l’assassino
Un anno dopo, possiamo dire che Navalny non è morto invano. La sua eredità vive in ogni gesto di resistenza, in ogni protesta, in ogni battaglia per la libertà. Siamo noi la sua eredità. Noi che continuiamo a lottare, noi che non vogliamo arrenderci. Eppure, mentre noi ricordiamo, c’è chi già dimentica. C’è chi vuole negoziare con l’assassino. Ci chiedono di rallegrarci perché si parla di accordi di pace con un uomo che calpesta ogni promessa, che ha ucciso il suo principale oppositore per paura di perderlo il giorno dopo. Ma davvero crediamo che Putin possa rispettare un accordo di pace con l’Ucraina, quando ha dimostrato di essere pronto a eliminare chiunque rappresenti una minaccia per il suo potere? Lo abbiamo detto e lo ripetiamo oggi: un assassino non smette di uccidere. Navalny è stato solo una delle tante vittime. Putin ha il sangue dell’Ucraina sulle mani, così come quello di tutti coloro che si sono opposti a lui. Pensare che basti concedergli ciò che vuole per fermarlo è pura follia.
Kierkegaard scrisse: “Il tiranno muore e il suo potere giunge alla fine. Il martire muore e il suo potere acquista forza”. Un anno dopo, possiamo dire che Navalny non è scomparso. Ora è in ognuno di noi. E per questo vi chiediamo di non restare in silenzio. A Roma, il 23 febbraio, scendiamo in piazza per sostenere l’Ucraina. Il 1° marzo manifestiamo per i prigionieri politici. Navalny ci ha mostrato la strada. Tocca a noi percorrerla.
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