Il pg della Cassazione demolisce l'imputazione
L’accusa sconfessa Gratteri: “Pittelli non è un mafioso”
Giancarlo Pittelli non è un mafioso. Lo dice lo stesso rappresentante dell’accusa. Perché il suo sarebbe stato un concorso esterno in associazione mafiosa “dai confini assai incerti”. Così incerti da non esistere se non, al massimo, come favoreggiamento. E’ lo stesso Procuratore generale della cassazione a demolire l’imputazione nei confronti dell’avvocato calabrese voluta da Nicola Gratteri, che lo ha fatto arrestare il 19 dicembre del 2019 e lo tiene ancora prigioniero ai domiciliari. E che lo vorrebbe addirittura rimandare in galera.
Sono ormai passati tre anni da quella notte del blitz con centinaia di arresti in Calabria, una vera retata che avrebbe dovuto far tremare i polsi non solo alle cosche della ‘ndrangheta, ma a quella famosa “zona grigia” di imprenditori e politici che avrebbe dovuto squassare l’intera classe dirigente della Regione. Le cose non sono andate proprio così, e se è vero che il procuratore Gratteri sognava di diventare il nuovo Falcone, la delusione è stata grande, e l’alto magistrato è rimasto con le pive nel sacco. Che cosa è rimasto infatti della Grande Retata? Polvere e (pochi) lapilli.
Prima di tutto perché i giudici di diversi gradi, dal tribunale del riesame fino alla cassazione, hanno restituito la libertà a moltissimi imputati. Poi sono emersi, piano piano e uno dopo l’altro, una serie di errori procedurali. Perché dopo la prima ricusazione dei confronti della Presidente del tribunale di Vibo che inizialmente stava conducendo il processo, da parte della stessa Procura, le ricusazioni si sono susseguite per iniziativa di una serie di imputati nei confronti della nuova Presidente e di una delle due giudici laterali. Infine, e il fatto è clamoroso, l’aula bunker di Lamezia, fatta appositamente costruire per il processo “Rinascita Scott” e pubblicizzata per i turisti con diversi cartelli e segnaletiche stradali, in modo che chiunque vada in Calabria sappia che quello è il luogo in cui si annienterà la ‘ndrangheta, è perennemente vuota. Proprio pochi giorni fa, a firma del segretario Francesco Iacopino e del Presidente Valerio Murgano, la Camera Penale di Catanzaro ha lanciato un vero allarme.
Quello che era stato definito “il processo del secolo”, scrivono nel documento gli avvocati, è diventato solo un luogo in cui, invece di giudicare gli imputati secondo le regole della Costituzione e dello Stato di diritto, ci si limita a “sbrigare la pratica”, dimenticando che lì ci sono persone, innocenti secondo la Costituzione e non soggetti buttati in “centri di raccolta imputati”. E gli avvocati non sono comparse, obbligate a fare atto di presenza e a correre in affanno dai vari tribunali fino a quel luogo in mezzo al nulla per rincorrere i propri assistiti secondo il piacere delle toghe. Oltre a tutto toghe sempre più delegittimate dalla varie istanze di ricusazione. Una delle quali è stata presentata proprio da Giancarlo Pittelli.
Che fine ha fatto il suo “Rinascita Scott”, dottor Gratteri? Questa frase del Procuratore generale della Cassazione sui “confini incerti” del reato di concorso esterno in associazione mafiosa contestato al famoso avvocato calabrese, non le ricorda qualcosa? Altri tempi, e un altro alto magistrato, Otello Lupacchini, che parlò di “ombre lunari” e che lei riuscì a fare cacciare dalla magistratura. E il Csm che metro di misura ha usato nel paragonare i risultati tra l’attività professionale dell’uno e dell’altro procuratore? La desolazione vuota dell’aula bunker di Lamezia parla da sola. E intanto, ci spiace doverlo ricordare ancora, ma il procuratore Gratteri si è candidato all’Antimafia nazionale, alla Procura di Milano e ora a quella di Napoli. Lascia il campo, così, signor procuratore?
E l’avvocato Pittelli, colui nei cui confronti lei ha chiesto e ancora richiesto la detenzione cautelare in carcere, dopo tre anni, deve ancora essere rinchiuso per un’accusa “dai confini incerti”? Non possiamo dimenticare quel che lei aveva detto di lui, dopo gli arresti del 2019. Lei aveva sostenuto che il legale ed ex senatore della Repubblica, era la cinghia di trasmissione tra le cosche mafiose e la società civile, il mondo delle professioni, della politica e della massoneria. Esaminiamo allora, dai documenti dell’accusa e da quelli della difesa che ieri si sono fronteggiate davanti alla seconda sezione penale della cassazione, quali sono gli elementi di accusa che tengono Giancarlo Pittelli non solo imputato davanti a un tribunale composto da tre giudici di cui due ricusate, ma anche ancora vincolato alla detenzione domiciliare.
Impedito dal 2019 di svolgere una normale vita e una normale possibilità di difendersi nel processo. Di tutte le frattaglie che arricchivano il fascicolo del pubblico ministero tre anni fa, una sola accusa è rimasta, dopo aver separato il grano dal loglio. Il legale è sospettato di aver spifferato a un proprio assistito il contenuto di dichiarazioni rese al pubblico ministero da un coimputato “pentito” che, a quanto pare, si accingeva ad accusare persino i propri familiari, e in particolare il fratello. Notizie segrete, che l’avvocato Pittelli non avrebbe dovuto conoscere direttamente. Infatti ne aveva solo sentito parlare.
Perché quel giorno, la data del 12 settembre 2016 è sicura perché c’è un’intercettazione ambientale, ne avevano già parlato un giornale, il Quotidiano del sud, e un sito, Zoom 24. E addirittura le accuse al fratello saranno verbalizzate un mese dopo. Quindi Giancarlo Pittelli ha “millantato”, era stata la conclusione del tribunale di Catanzaro che aveva rigettato l’istanza dei suoi legali Caiazza e Staiano. Cioè si sarebbe vantato di qualcosa che non conosceva, ma comunque avrebbe inteso aiutare il suo assistito e di conseguenza la cosca di cui lui era il boss. La solita confusione tra imputato e difensore buttata lì dagli uomini delle procure e a volte dagli stessi giudici, non solo calabresi, di cui si lamentano costantemente gli avvocati e la Camere penali.
E’ così che siamo arrivati di nuovo in cassazione, dopo una sentenza che il 25 giugno del 2020 aveva sfrondato il testo dell’accusa da una serie di fatti che in nessun modo potevano essere qualificati come reati. E’ rimasto solo lo “spiffero”, ovvero la “millanteria”. Ma si tiene prigioniero un uomo per tre anni per un concorso “dai confini incerti?”. Sapendo anche che, qualora si fosse trattato, come ha suggerito il procuratore generale, di un semplice favoreggiamento, probabilmente le manette non sarebbero neppure state necessarie. Ma come si sarebbe potuto, in quel caso, se il principale imputato della famosa “area grigia” non era mafioso, celebrare il Maxiprocesso che avrebbe dovuto rendere il procuratore Gratteri più famoso di Falcone?
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