L’invenzione del partito di lotta e di governo ha un copyright: è berlingueriana. Stava per: “Noi siamo abbastanza forti e potenti per governare, ma poiché la congiuntura internazionale ce lo impedisce noi d’ora in poi saremo una forza di lotta e di governo”. La scelta della parola “lotta” in luogo di “opposizione” contiene la marcia in più della genialità: se io lotto, questo non vuol dire che ti voglio abbattere come farebbe una opposizione. No: io lotto, mi contrappongo, ma non ti voglio sostituire né radere al suolo. Semplicemente, lotto. Che male c’è?
Il ragionamento corrispondeva ad un contesto storico reale: il PCI italiano restava lì, sempre impantanato in mezzo al guado senza portare a termine lo strappo definitivo dall’Unione Sovietica e a causa del tentennamento – né fuori né dentro – non aveva ottenuto il patentino per entrare nel governo di un Paese della Nato. Agli increduli anglosassoni, del resto, lo stesso Moro aveva amabilmente spiegato che il nostro non è un Paese euclideo ma un paese dove le “convergenze sono parallele”.
Quando fu chiesto a uomini di Stato occidentali che cosa sarebbe successo se il PCI avesse vinto le elezioni e fosse andato al governo, la risposta fu che l’Italia sarebbe stata esclusa dalla condivisione dei segreti militari come per qualche tempo accadde al Portogallo dopo la rivoluzione dei garofani rossi.
Tutto ciò detto, l’idea di brevettare un partito che fosse sia di lotta che di governo diventò trendy. Oggi si potrebbe e dire che fu una gran ficata: tu stai mezzo dentro e mezzo fuori, dove le masse assediano il Palazzo d’Inverno e dove fai colazione guardando con distaccato sospetto le folle con i forconi.
La moda si estese e oggi ne vediamo i più recenti sussulti: ecco quindi la Lega di Salvini e i Fratelli d’Italia della Meloni che si si contendono i centimetri che separano il mezzo dentro dal mezzo fuori, sparando numeri al lotto circa l’età dei vaccinandi, la portabilità del Green Pass con gli altri colori eccetera eccetera. E la stessa cosa tocca fare a quel poveraccio di Conte, condannato a spiegare ai giornalisti con quali accorgimenti lui stia sia dentro che fuori, perché tanto si fida ciecamente di colui – Draghi- contro il quale non può combattere perché se lo facesse Grillo lo prenderebbe a martellate dopo aver indossato il suo caratteristico scafandro. Così l’ex premier per caso seguita a dire che la riforma Cartabia va rifatta e lo ripete come se non sapesse che Draghi gli ha già detto di no, salvo virgole e qualche punto e a capo.
In questo modo, prosegue la commedia dell’arte italiana che è sia politica che non politica. Chi volete che si offenda. Semmai gli altri Paesi europei hanno rinunciato a decifrare i nostri rebus perché si tratta sempre dello stesso giochetto – stare sia dentro che fuori – affascinati dalla stravagante bizzarria italiana di cui ormai non importa un fico secco.
Però, lasciatemelo dire: quando nacque, l’idea era geniale.
Si cominciò con l’attuazione delle regioni nel 1970 per potere consentire al partito comunista di esercitare una vera attività di governo nelle “Regioni rosse” cosa che provocò grande scalpore e c’erano quelli preoccupatissimi all’idea che i vigili urbani bolognesi armati di pistola al servizio del grande complotto comunista, potessero insorgere contro lo Stato.
Quel che è successo realmente allora fu che il partito comunista di Berlinguer ebbe davvero un successo formidabile perché giocava anche lui la stessa partita sul fronte internazionale, dal momento che i sovietici non riuscivano a capire che gioco facessero questi compagni italiani. Chi stava con chi? Chi tramava contro il compromesso storico che avrebbe dovuto produrre la grande entrée del Partito comunista nella stessa stanza dei bottoni in cui era stato invitato il socialista Pietro Nenni?
Berlinguer ebbe un bruttissimo incidente d’auto in Bulgaria dove era stato pressantemente invitato, e Cossiga mi disse di averlo fatto riportare a casa da un gruppo di carabinieri sottraendolo alle cure dei compagni bulgari. Poi Berlinguer confessò in segreto a Macaluso che lui era certo che quell’incidente in Bulgaria era stato un attentato, cioè un tentativo fallito di eliminarlo da parte di Mosca. Ma il tentativo, appunto, era fallito. E Berlinguer andò avanti.
Tutto il castello crollò quando Aldo Moro – garante del compromesso che avrebbe dovuto salire al Quirinale qualche mese dopo – fece la fine che fece e di tutta quella storia non sappiamo tutto, anzi a mio parere – e vi giuro che non sono incompetente – non sappiamo nulla.
La necessità di quel gioco a rimpiattino ebbe termine con la caduta dell’impero sovietico e il cambio di nome da Pci a Pds operato in corsa da Achille Occhetto mentre oliava la “gioiosa macchina da guerra”.
Comunque, poi, sì, Berlinguer: ma per amor di cronaca bisogna dire che i socialisti erano stati i primi maestri del piede in due staffe: la sinistra di Basso e Vecchietti era fuori, mentre Nenni stava dentro. E poi quando i due se ne andarono nel Psiup, foraggiato dal KGB russo, il Partito Socialista seguitò a marciare disunito e diviso tra chi voleva l’opposizione e chi il governo, restando sia all’opposizione che al governo.
Stessa sorte sta subendo il Partito democratico che cambia pelle, nome, segretario, testa, obiettivi, alleati e sta sempre più di là che di qua, a geometria variabile.
E la destra? La nostra ineffabile destra non si capisce bene ancora che cosa abbia di unificante tra la fiamma missina che ancora compare sul simbolo della Meloni e la Lega di Salvini che da federalista che era è diventata nazionalista ma con freno a mano sempre più tirato e non sai mai se ha nostalgia del fuori, sicché quando dalle piazze arrivano le starnazzate dei no-vax e dei libertari senza patente che pretendono di guidare la macchina (battuta rubata, lo ammetto, a Paolo Flores d’Arcais) ribelli senza un oggetto di ribellione ma in sintonica vibrazione con quei cuori che palpitano sia dentro che fuori dal Palazzo, ecco che riparte il balletto nostalgico sempre invidiosissimo del partner che ha fatto un passo di lato.
Questa pantomima non ci scandalizza o come dicono a Roma, ci rimbalza: è così che siamo stati svezzati. E troviamo persino grazioso un sistema di coppie aperte a tutte le corna che poi produce famiglie allargate dove in fondo sono tutti sia parenti che serpenti.
Ecco quindi come si sta solidificando una cultura fondata sulla quadriglia che calza a pennello ogni terrapiattismo grillismo rancore contro ciò che è ragionevole, perché in fondo. che c’è di male? Secondo gli ultimissimi dati sembra che l’economia italiana sia ripartita ruggendo meglio di quella tedesca, con lingue di fuoco. Abbiamo il sospetto che dipenda dal fattore umano e dalla leadership, un fenomeno dimenticato. Ma in fondo, nessuna sorpresa: dopo sei stagioni televisive del “Trono di Spade” sappiamo quale alito di fuoco abbiano i draghi e questo è un punto sul quale – come si diceva una volta – “i compagni dovrebbero fare una riflessione”.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.