Chi conosce e frequenta le carceri italiane sa bene che la situazione è molto delicata: il sovraffollamento penitenziario è arrivato di nuovo ai limiti della tollerabilità, i detenuti ne soffrono, i lavoratori anche. Servirebbe uno sforzo straordinario di tutte le istituzioni per contenere gli ingressi in carcere, per facilitarne le uscite, per ottimizzare le risorse umane e finanziarie nel perseguimento dei fini costituzionali della pena. Servirebbe un’adeguata sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Invece alcune organizzazioni sindacali, e ieri anche il segretario della Lega Matteo Salvini, non trovano di meglio che alimentare una pretestuosa polemica contro i garanti dei detenuti: contro il Garante nazionale, reo di aver esposto le proprie legittime considerazioni su un video istituzionale che non valorizza le specifiche competenze professionali della polizia penitenziaria e la rappresenta impropriamente come una fucina di corpi speciali destinati a funzioni militari; contro il Sindaco di Napoli, reo di aver nominato Garante di quella città un ex-detenuto.

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Tralasciamo l’inconsistenza delle critiche. Naturalmente il Garante nazionale ha competenza sui percorsi formativi del personale penitenziario, e dunque anche sugli strumenti di cui a tal fine si dota l’Amministrazione competente: noi garanti sappiamo bene che la prima condizione per la tutela della dignità dei detenuti e per il perseguimento dei fini costituzionali della pena è la qualificazione professionale degli operatori penitenziari, a partire dagli agenti che vivono gran parte della loro giornata lavorativa in sezione, a diretto contatto con i detenuti, con le loro problematiche e i loro bisogni. D’altro canto, Pietro Ioia, il neo-garante napoletano, non è il primo e forse non sarà l’ultimo dei nostri colleghi con una passata esperienza detentiva. Ha ragione il Presidente della Camera Fico, quando ricorda che «è giusto dare una occasione a chi ha scontato la sua pena e completato la fase rieducativa»: è quanto prescrive la Costituzione. Certo, questo non significa che tutti gli ex-detenuti possano o abbiano le capacità per fare i garanti, ma se il loro percorso ne ha testimoniato le competenze e l’attitudine, perché un simile incarico gli deve essere precluso? Sulla base di quale titolo discriminatorio?

Ma lasciamo perdere, dunque, le polemiche strumentali. Piuttosto preoccupa la abusata e stucchevole contrapposizione tra poliziotti e detenuti. Perché i detenuti hanno i garanti e i poliziotti no?, ci si chiede. Perché hanno gli avvocati e i poliziotti no? È banale rispondere che i primi hanno commesso (o sono stati accusati di aver commesso) dei reati abbastanza gravi da costringerli in carcere, mentre i poliziotti sono funzionari dello Stato a cui sono affidate delicate responsabilità pubbliche? E perché i poliziotti dovrebbero essere assistiti da garanti e avvocati? Non gli bastano le rappresentanze sindacali? Quale parallelo si può fare tra queste due condizioni? Non si rende conto, chi lo fa, che in questo modo equipara i poliziotti ai detenuti, e che in questa equiparazione c’è la condivisione della degradazione che i detenuti istituzionalmente subiscono? È questa l’idea che Salvini e quei sindacati hanno dei poliziotti penitenziari?

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I Garanti dei detenuti, a livello locale come a livello nazionale, nascono con l’intento di contribuire in via informale alla tutela e alla promozione dei diritti di persone che sono costrette, seppur legittimamente, in una condizione di particolare vulnerabilità. Sì, è vero, in qualche caso ci è toccato segnalare all’Autorità giudiziaria competente maltrattamenti che sarebbero stati commessi nei confronti delle persone detenute (se così è stato, non siamo noi a deciderlo: come garanti siamo garantisti sempre), ma assai più frequentemente interveniamo a raccomandare soluzioni alle doglianze dei detenuti che vanno incontro anche alle esigenze del personale penitenziario, a partire da quello di polizia.

Questo è il nostro lavoro e il nostro impegno, dalla parte dei detenuti, certo, per il perseguimento dei principi e delle finalità costituzionali in materia di privazione della libertà e di esecuzione della pena, quegli stessi principi che motivano il lavoro e l’impegno degli operatori penitenziari, cui va il nostro ringraziamento per l’abnegazione con cui concorrono ad affermarli.