La pandemia ha acuito le disuguaglianze economiche esistenti: persone prima non abituate all’indigenza – commercianti, ristoratori, lavoratori autonomi, artigiani, e addirittura qualche libero professionista – per la prima volta bussano alle nostre Caritas. Sono i poveri dell’emergenza sanitaria, che forse non li ha generati ma ha acuito i bisogni, ha creato disoccupati e ha fatto deflagrare il sistema di protezione sociale, evidenziando le lacune delle politiche sociali nel nostro Paese.

L’esplosione deriva dall’associazione di tre componenti letali: disagio economico, psichico e solitudine. Nella prima ondata reggevano, oggi sono al tappeto: non solo c’è il piatto da mettere a tavola, a quello si rimedia, molte richieste riguardano affitti, bollette di luce e telefono, rate di mutuo, dispositivi e connessione Internet per la didattica a distanza dei figli. Su di loro soffiano gli avvoltoi dell’usura. Il Governo ha dato aiuti economici che sono serviti da ammortizzatori sociali: il reddito di cittadinanza è riuscito con tutti i suoi limiti a dare respiro. Ma la pandemia ha cambiato tutto. Molti attendevano i ristori, la cassa integrazione, e non sempre sono arrivati. Anzi, l’erogazione di sussidi ha favorito una certa ingiustizia: c’è chi percepisce il reddito di cittadinanza senza lavorare, e chi con un lavoro regolare deve chiudere.

Occorrerebbe, invece, sostenere le aziende per dare occupazione e verificare che lo facciano. Vero obiettivo è creare lavoro, fondamentale per la dignità e il benessere. Che futuro avremo quando più della metà dei giovani sarà senza un impiego? Un popolo non può vivere di assistenzialismo: l’accesso al lavoro deve diventare la meta centrale delle politiche pubbliche. Di fronte alla crisi attuale, sono possibili due visioni: quella miope della mera erogazione di sussidi e quella lungimirante di considerarli come cura immediata, ma pensando contemporaneamente a rimuovere le cause della malattia per evitare la morte del paziente. Sul Recovery Fund si stanno ponendo troppe attese: non vorrei che ci si limitasse ai soldi in arrivo, che tra l’altro suscitano gli appetiti delle mafie, senza un modello di sviluppo da rivedere.

Non c’è bisogno solo di un personale politico in grado di gestire questo nuovo Piano Marshall. Diciamo la verità, anche dura: nella nostra società il primato spetta al settore economico, i cui attori decidono tutto. Nel nostro Paese e a livello europeo e mondiale, gli uomini delle scelte chiave sono pochi e del mondo della finanza, non della politica. Occorre invece sinergia: penso al Forum per le disuguaglianze e le diversità e alle Quindici Proposte per la giustizia sociale. Altra emergenza è la campagna di vaccinazione. La Caritas regionale campana, con il delegato Carlo Mele, chiede da tempo di vaccinare il “popolo degli invisibili”, quelli che vivono per strada e abitano nei dormitori: non hanno niente e nessuno, senza tetto, a volte senza famiglia, spesso attraversati da disagio psichico e da dipendenze. Pensiamo che possano iscriversi a una piattaforma? Non sanno neppure di cosa parliamo. Eppure prendono il virus come tutti, anzi di più, perché sono per strada senza protezioni, e lo portano anche in giro. Se non vogliamo preoccuparci di loro, preoccupiamoci di noi stessi, vacciniamo loro per ridurre la circolazione del virus. Vaccinare i poveri serve a tutti. Sia questa Pasqua davvero il principio di una risurrezione sociale ed economica.