Docente in diritto del lavoro presso l’Università Bocconi di Milano, Maurizio Del Conte interviene sulla contrattazione territoriale in Italia e sulle sue prospettive.

Professore, aumenta il costo della vita, ma non fanno altrettanto i salari. Qual è l’importanza di avere un accordo basato su parametri reali come la contrattazione territoriale?
«La contrattazione territoriale serve sostanzialmente per due cose: riempire i vuoti in mancanza di contrattazione aziendale. Nel nostro sistema c’è il contratto nazionale e, in alternativa, troviamo quello territoriale o quello aziendale. Le piccole imprese non possono godere dell’accordo aziendale, non avendo la “massa” necessaria. È il caso tipico dell’artigianato. Il contratto territoriale consente a tali categorie di articolare una contrattazione di secondo livello integrativa rispetto a quella di primo livello, a seconda di quanto c’è da distribuire nel territorio. Proprio perché in alcune zone la contrattazione nazionale non è in grado di portare a livelli salariali che garantiscano effettivamente un tenore di vita proporzionato al costo della vita in quel territorio, è importantissimo che ci sia questo secondo livello».

E diventa importante soprattutto dove il costo della vita è superiore rispetto a quello della media nazionale…
«A Milano e in altre città dove il costo della vita è nettamente superiore in confronto alla media sì. Il contratto nazionale viene costruito prendendo chi ha tanto e chi ha poco e tracciando una linea intermedia molto spesso iniqua. Quando si introduce un contratto territoriale non dobbiamo pensare che ci sia un vantaggio a scapito di altri territori, ma si tratta di un modo per ripristinare un’equità salariale altrimenti compromessa dal diverso costo della vita».

Abbiamo parlato dei vantaggi per i dipendenti, ci sarebbero benefici anche per le imprese?
«Molte imprese sarebbero alleggerite dall’onere di stipulare una contrattazione in casa grazie a una negoziazione che viene fatta dalle associazioni rappresentative, sia sindacati che associazioni datoriali. Queste riempiono quel vuoto e soddisfano anche quell’impulso, che era stato dato in precedenza dal Patto per la Fabbrica, di darsi un secondo livello di contrattazione.
Oggi solo il 30% delle imprese italiane dispone di una contrattazione di secondo livello, tipicamente aziendale. Da un lato si rimuove la fatica di contrattare e i problemi di avere un contenzioso contrattuale in casa; dall’altro si genera una soglia minima che facilita il recupero del potere d’acquisto».

A Bologna è stato calcolato il salario orario minimo per essere al di sopra della soglia di povertà. Il risultato è stato di 9 euro e 15 centesimi, superiore al salario minimo nazionale proposto, pari a 9 euro…
«Proprio a tal proposito, credo che a Milano sia stato fatto un lavoro molto importante dalle associazioni Tortuga e Adesso! Queste hanno condotto uno studio scientifico robusto per individuare la soglia minima sotto la quale è impossibile vivere autonomamente in città. È importante non perché questo diventi una sorta di anticipazione di una legge, ma perché diventi un punto di conoscenza certo sulla soglia sotto la quale non ha neanche senso andare a contrattare. A partire da quella soglia, ha senso poi vedere se ci sono ulteriori margini o la possibilità di redistribuire ricchezza».

A Napoli invece si registra una divisione tra zone urbane e periferiche. La contrattazione territoriale e quella aziendale dovrebbero, secondo alcuni, intervenire sul welfare. Qual è la sua valutazione?
«Questo accorgimento è utile perché mette in condizione di avere più servizi rispetto al valore che potrebbe comprare un lordo in busta e sono servizi che spesso mancano. Il meccanismo è corretto e intercetta un bisogno: molto spesso quando si fanno ragionamenti intorno all’equità salariale nei diversi territori si omette di considerare anche l’accessibilità dei servizi. Questo è un elemento che deve entrare nel ragionamento complessivo sulle differenze nel tenore di vita dei cittadini. Interventi di welfare che danno una risposta alla carenza dei servizi possono essere una delle leve da attivare a fianco dell’incentivo dello stipendio».