Il bilancio sociale della Procura
Le intercettazioni non possono essere il primo e unico strumento di indagine
La trasparenza dovrebbe essere un elemento essenziale della pubblica amministrazione. Negli ultimi anni si sono fatti passi in avanti in tal senso, ma non basta. Ci sono ancora molti aspetti oscuri e domande a cui non viene data una risposta chiara. Sono le inchieste giornalistiche – non sempre basate su dati certi – che, a volte, strappano il velo su circostanze ignote all’opinione pubblica. Va vista, pertanto, con grande soddisfazione la meritoria pubblicazione del bilancio sociale della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, reso noto nei giorni scorsi.
Non è la prima volta e non è il solo Ufficio giudiziario che provvede a tale impegno. Il bilancio sociale è l’esito di un processo con cui l’amministrazione rende conto delle scelte, delle attività, dei risultati e dell’impiego di risorse in un dato periodo, in modo da consentire ai cittadini di conoscere come l’amministrazione interpreta e realizza la sua missione istituzionale e il suo mandato. Quello della Procura di Napoli – la più grande d’Italia, con oltre 100 pubblici ministeri – consta di 368 pagine ed è stato realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi Federico II. È una relazione completa sull’attività svolta nel territorio di competenza. Il dato che maggiormente colpisce è quello relativo alle intercettazioni telefoniche, la cui spesa, di euro 12.785.000,00, supera di circa un milione quella dell’anno precedente e rappresenta il 60% della spesa complessiva dell’Ufficio, pari a euro 21.313.000,00. Tra intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche sono stati fatti 8.873 ascolti nel 2021.
In un solo anno, sono migliaia i cittadini che vedono controllate le loro utenze, i loro luoghi privati, le loro relazioni. L’intercettazione viene ritenuta, dunque, dagli inquirenti l’incontrastata regina delle indagini ed il più importante strumento investigativo. Il suo uso massiccio comporta, inevitabilmente, il fenomeno così detto delle intercettazioni a strascico. Da un soggetto controllato si arriva ad indagarne altri che sono, a volte, occasionalmente in contatto con l’intercettato. Basta una frase criptica, anche non in relazione all’indagine in corso e si aprono altri fascicoli, si moltiplicano gli indagati sottoposti a controlli invasivi sulla loro vita privata. È chiaro che siamo di fronte ad un meccanismo perverso nel quale l’intercettazione diventa il primo atto d’indagine – ed a volte resta l’unico – a carico dell’indagato, mentre l’uso di tale attività investigativa dovrebbe presupporre gravi indizi di colpevolezza a carico del soggetto che s’intende controllare e non viceversa. Sarebbe interessante conoscere il dato relativo all’esito processuale di tali fascicoli, per poter effettivamente valutare costi e benefici. Altro dato rilevante – ce ne sarebbero molti, ma lo spazio a disposizione non consente ulteriori approfondimenti – è quello relativo ai criteri di priorità sui reati da perseguire.
In merito, il bilancio dà atto che tale scelta è stata fatta coinvolgendo l’avvocatura e che il principio invalicabile dell’obbligatorietà dell’azione penale non consente di praticare altre strade. È questa una situazione paradossale, che vivono tutte le grandi Procure del Paese. L’esercizio dell’azione penale varia a seconda del territorio. Il cittadino denuncia, ma se quel reato non è tra gli obiettivi prioritari della Procura, la sua legittima azione non troverà risposte. È evidente che tale compito dovrebbe spettare esclusivamente alla politica, le cui scelte possano valere per tutti in ugual misura, senza connotazione di luoghi. Ed è altrettanto pacifico che occorre la depenalizzazione di alcuni reati privi di concreto allarme sociale, le cui fattispecie potranno trovare una più efficace sanzione amministrativa. Resta il grande merito della Procura di Napoli di aver messo sul tavolo i dati necessari ad un vero proficuo confronto sugli importanti temi dell’attività investigativa.
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