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Le polemiche contro Trump calano la maschera, l’obiettivo internazionale è delegittimare Israele
La strategia di The Donald per Gaza, certamente discutibile, è stata descritta come un nuovo piano nazista. Un triste pretesto che conferma l’aspirazione ormai radicata: combattere lo Stato ebraico fi no a distruggerlo

Era e rimane perfettamente legittimo contestare, da ogni punto di vista, i progetti di riassetto della Striscia di Gaza preconizzati da Donald Trump nella conferenza stampa dell’altro giorno con Benjamin Netanyahu. Sarebbe stato possibile farlo discutendone l’opportunità, l’ammissibilità, la stessa liceità, sotto ogni profilo: politico, umanitario, morale, giuridico, tutto quello che si vuole. Ma sarebbe stato possibile farlo senza ricorrere agli argomenti e ai toni che invece hanno in modo maggioritario investito quella proposta. Certi spropositi che la assimilavano all’annuncio di un nuovo piano nazista, la retorica da liceale engagé sulla “pulizia etnica” cui quella proposta sarebbe rivolta, le requisitorie contro il sodalizio neo-imperialista tra il criminale di guerra e il tycoon che ne asseconda le brame usurpatrici: ecco, di tutto questo davvero non aveva bisogno il dibattito pubblico su un argomento tanto delicato e importante.
Ma c’è una ragione sepolta per cui ha fatto tanto strepito la presunta mattana del presidente degli Stati Uniti. Ed è questa: che, in modo collaterale e non voluto, questa nuova e imprevedibile piega della discussione sul destino di Gaza squaderna in faccia a tutti un buon numero di questioni sottaciute e svela l’urgenza di parecchie realtà neglette. La prima, maestosa, riguarda le aspirazioni dei palestinesi, lungimiranti non alla propria autodeterminazione ma, tutt’ora, alla distruzione dello Stato di Israele come mezzo per ottenerla. Ancora, infatti, il grosso della società palestinese è indottrinata a ritenere che le privazioni e l’arretratezza di cui essa è vittima siano da attribuire alla stessa esistenza di Israele. Si tratta dell’impedimento più serio sul tracciato di una possibile soluzione della questione palestinese.
Ma ciò che è più grave è che quel convincimento erroneo non è isolatamente coltivato dai palestinesi: al contrario, esso si perpetua di generazione in generazione nel conforto di una comunità internazionale che lo considera innocuo, se addirittura non contribuisce ad accreditarlo. Quando le Nazioni Unite, facendo il verso a un improbabile parere della Corte Internazionale di Giustizia, si lasciano andare a una risoluzione (parliamo di pochi mesi fa) secondo cui “le preoccupazioni di Israele per la sicurezza” devono considerarsi recessive rispetto al diritto di autodeterminazione del popolo palestinese, non fanno altro che inoculare nella fibra palestinese un ricostituente di quel convincimento insieme distruttivo e fallimentare. Vale a dire l’idea che il corso civile, economico e sociale dei palestinesi non abbia margini di autonomia, ma possa svilupparsi solo contro Israele.
A rendere tanto più solida, anzi incrollabile, questa fideistica convinzione palestinese, è ancora una volta l’atteggiamento concessivo di una comunità internazionale meno insipiente che connivente quando il lavorìo volto alla destituzione della legittimità di Israele fa il grande passo ulteriore, vagheggiando che l’autodeterminazione del popolo palestinese possa e debba risiedere nel “diritto al ritorno”. Non si tratta di Gaza e della Cisgiordania, attenzione: si tratta di Israele. Sono ancora le Nazioni Unite, per il tramite del solito gruppo di “esperti”, a metterlo nero su bianco senza più nessun infingimento: “I palestinesi sfollati dal 1948 sopravvissuti alla Nakba – spiegano gli esperti di Israele senza ebrei – devono essere in grado di tornare alle loro terre storiche, ricostruire le loro vite e porre fine al ciclo dell’esilio forzato”. È un’ipotesi che bestemmia non solo sul diritto internazionale e sul diritto degli ebrei all’esistenza del proprio Stato, ma su qualsiasi possibilità di soluzione del conflitto: eppure non ha destato non si dice scandalo, ma neppure perplessità, che una simile enormità discendesse dai prolifici lombi anti-israeliani (è un eufemismo) dell’Onu.
Chiunque dovrebbe comprendere che ogni profilo di inopportunità, di impraticabilità, di possibile ingiustizia della soluzione tratteggiata con la solita avventatezza di Donald Trump assume fattezze ingentilite davanti alle ambizioni genocidiarie (tali sono) delle dirigenze palestinesi e, soprattutto, a fronte dell’atteggiamento della comunità internazionale che non solo non ne pretende e non ne impone l’eradicazione, ma persino accetta che siano messe su carta intestata delle Nazioni Unite. Fa scandalo – ed è giusto che possa fare scandalo – la piantina di Gaza sfollata e trasformata in resort. Israele confinante con chi non rinuncia a volerlo distruggere invece va bene. Israele punteggiato di cartelli “judenfrei” va benissimo.
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