Inizio con una battuta: non invidio, di certo, Leone XIV! Le responsabilità che il ministero petrino comporta sono tali da togliere il respiro. Così San Paolo VI, nella sua prima enciclica, Ecclesiam suam, riassumeva, se così si può dire, il compito affidato al Papa: Vi diremo subito, Venerabili Fratelli, che tre sono i pensieri, che vanno agitando l’animo Nostro quando consideriamo l’altissimo ufficio, che la Provvidenza, contro i Nostri desideri ed i Nostri meriti, Ci ha voluto affidare di reggere la Chiesa di Cristo, nella Nostra funzione di Vescovo di Roma, e perciò di Successore del beato Apostolo Pietro, gestore delle chiavi del regno dei cieli e Vicario di quel Cristo che fece di Pietro il primo Pastore del suo gregge universale. Una responsabilità, dunque, immane ricade sulle spalle dell’uomo che è scelto da Dio, attraverso lo Spirito Santo che illumina i cardinali, a diventare il successore di Pietro.

Ogni Papa vive pienamente il momento storico nel quale svolge il proprio ministero, assumendo su di sé pienamente i drammi, le attese, le speranze degli uomini. E, così, sulla sua scrivania il nuovo pontefice troverà dossier riguardanti questioni per affrontare le quali occorrono profonda sapienza di governo e grandissimo equilibrio: sapientia cordis e sapientia mentis. A mio avviso occorre uscire da logiche trite e altamente divisive: non dobbiamo chiederci, infatti, se il nuovo papa sarà bergogliano o antibergogliano, conservatore o progressista: chi ha a cuore la Chiesa sa che il compito del Romano Pontefice si risolve in due cure: quella di confermare i fratelli nella fede e quella di custodire il depositum fidei.

Non è mai facile succedere in una carica ad un’altra persona: nello specifico, il nuovo Papa deve avere innanzitutto una grande libertà d’animo e assoluta indipendenza di giudizio, elementi che gli consentono di assolvere al proprio mandato secondo quanto egli interpreta essere il bene della Chiesa. Certo le sfide sono tante: sul versante internazionale la custodia della pace, in particolare in Ucraina e in Medio Oriente, e degli equilibri tra Europa e Stati Uniti: l’Occidente deve assolutamente trovare una propria identità, deve sapere ritrovare sé stesso e tornare ad esercitare quel ruolo di grande intermediario di pace e attore economico, così come è avvenuto dal dopoguerra ad oggi. Francesco, per ragioni condivisibili, ha puntato la sua attenzione spirituale e geopolitica altrove: forse, però, si è creato un vuoto e questo vuoto è stato occupato da altri.

Questa della ricostruzione dell’Occidente è una sfida grande per il nuovo Papa. Sul versante interno è sotto gli occhi di tutti la necessità di dare una nuova stabilità alla Curia romana e ai suoi organi, con nomine che tengano conto dell’esperienza maturata negli anni di servizio alla Santa Sede e delle diverse realtà in cui la Chiesa cattolica è presente, dove essa è più o è meno numerosa. Legittima l’attenzione alle periferie ma lasciare fuori dal Conclave diocesi con milioni di cattolici a favore di comunità con numeri decisamente più ridotti forse è una scelta da rivedere. È chiaro che la fede non si basa sui numeri ma il patrimonio ecclesiale maturato nei secoli, in termini di esperienze, realtà, prassi, non viene riconosciuto nel modo adeguato.

Papa Francesco ha avuto molto coraggio perché con la sua azione ha spezzato meccanismi che avevano danneggiato la Chiesa, quindi la fede degli uomini, ora però serve un Papa parimenti coraggioso che sia in grado di mettere a sistema quei processi avviati e che devono essere portati a compimento e quelli invece che vanno riconsiderati in quanto frutto di pensieri e considerazioni legati a contesti che non rappresentano più un fronte di intervento. Pregherò intensamente per il nuovo Papa, affinché lo Spirito lo illumini e sia circondato da collaboratori validi e fedeli. Sono certa che la Chiesa sta per iniziare una delle pagine più belle della sua storia che altro non è se non storia provvidenziale di salvezza. Pasce oves meas.