La premier a Bruxelles
Lega e FdI divisi sulle armi a Kiev, ma il vero scontro è sulle poltrone
Giorgia Meloni vola a Bruxelles con una bisaccia piena di consapevolezze, nessuna rassicurante: sarà sempre più difficile tenere la maggioranza di centrodestra compatta sul dossier Ucraina, il più importante tra quelli in agenda oggi e domani al Consiglio europeo; le opposizioni, comunque, non sono in grado al momento di impensierirla visto che sono divise su questo e su altre questioni; sull’immigrazione Bruxelles non le darà una mano, non nell’immediato almeno visto che nella tradizionale lettera d’invito ai leader europei il presidente del Consiglio Charles Michel dedica all’immigrazione tre righe di numero per dire che alla questione sarà dedicato uno “short debrief”, un veloce punto della situazione da parte della presidenza di turno svedese.
La consapevolezza più amara è che l’azione di governo alla prova dei fatti, passata la luna di miele, i cento giorni e anche i cinque mesi, rischia di impantanarsi. Non per sfortuna, come ha evocato la stessa premier qualche giorno fa definendo quello attuale come “uno dei peggiori momenti dal dopoguerra”. Ma perché governare è sempre difficile e la propaganda ha le gambe corte. Anzi, cortissime. Poi va anche detta un’altra cosa: dopo due giorni passati tra Senato e Camera ad ascoltare le comunicazioni della premier in vista del Consiglio Ue, relativo dibattito e conseguenti votazioni sulla mozioni, ti accorgi che il vero problema non è l’Ucraina, l’immigrazione o la transizione green. Il vero problema, nei vari capannelli, è la partita delle nomine (nel centrodestra), quella dei capigruppo e della segreteria (nel Pd), cosa farà la neosegretaria Elly Schlein rispetto a Conte. Intanto ieri gli ha lasciato campo libero: la segretaria non era in aula e chi si aspettava un altro faccia a faccia con Meloni (previsto e atteso fino a ieri mattina), è rimasto deluso. Schlein ieri sera è partita per Bruxelles dove ha incontrato il gruppo e stamani seguirà il vertice del Pse.
Giuseppe Conte è stato così l’intervento più atteso, a lui il testimone dell’alfiere del pacifismo. Casuale? Concordato? Utile tattica, una sorta di suddivisione di ruoli dopo che la segretaria ha rubato la scena ai 5 Stelle su lavoro, diritti e legalità? Sull’Ucraina Meloni ha fatto Meloni: filoatlantista, filo Ucraina, efficace quando incalza i 5 Stelle che le chiedono “più diplomazia” e lei replica: “Volentieri, eccoci qua. E con chi dovremmo parlare? Con Putin forse? Il cessate il fuoco ora equivale ad una cosa sola: accettare l’invasione e la violazione della sovranità nazionale, vuol dire accettare di mettere in pericolo le nostre democrazie. E questo non lo faremo mai”. Sull’Ucraina la premier si rivolge ai banchi 5 Stelle (Conte le dirà che il suo governo “è una copia sbiadita di quello Draghi”) ma parla soprattutto alla Lega. Anche ieri, come già il giorno prima al Senato, la premier è “sola” nei banchi del governo.
Assenti tutti i ministri del Carroccio. “Sono impegnati” precisa il capogruppo Molinari che non prenderà mai la parola in aula. Non c’è neppure un ministro della Lega. Carlo Calenda fa notare che si tratta di un bis (“Lega assente dai banchi del governo, questo esecutivo è già in crisi anche se per i motivi sbagliati”) e che quindi non è più un caso. In quel momento arrivano a raffica informazioni e foto di Salvini impegnato in vari tavoli tecnici, della serie “ecco perché non mi posso muovere”. Calderoli e Valditara, richiamati sul punto, sono costretti a fare la staffetta in aula, primo uno poi l’altro. Nei capannelli di Fratelli d’Italia gira la battuta che “l’asse giallo-verde è come un diamante che dura per sempre” (copyright Matteo Richetti, Terzo Polo). Meloni se la mette “in tasca”, una di quelle frasi da tenere lì, pronte all’uso. Non si sa mai. Ecco, questo per dire il clima nella maggioranza. Segno che l’affondo di Romeo, capogruppo Lega al Senato, del giorno prima a palazzo Madama brucia e preoccupa. “Dicono che lei sia una tosta signora Presidente, ecco, lo dimostri, non solo andando alla Cgil – aveva insinuato Romeo – E faccia qualcosa per il cessate il fuoco. Perché non vorrei che l’Europa, dopo aver perso la fede, perdesse anche la ragione”.
Grande attesa quindi ieri per gli interventi della Lega. In discussione generale e nella dichiarazione di voto finale. Il primo a prendere la parola è stato Stefano Candiani e la tensione si è sciolta in breve: “Abbiamo allineato un fronte importante nella guerra a favore dell’Ucraina e contro la Russia: questo fronte non deve essere intaccato da alcuna difficoltà”. Può bastare. Per ora. Ma la frattura c’è e fa male. Anche perché in Forza Italia, al di là delle belle e nette parole di Deborah Bergamini, si sa già dove vanno le parole di Berlusconi se lasciate libere di volare. Se la maggioranza preoccupa, le opposizioni – dal punto di vista di Fdi – “regalano soddisfazioni”. Che fine ha fatto Elly Schlein? È stata la domanda del giorno. “Eppure non sono previsti appuntamenti politici…” notavano ieri i piddini. La scelta dei capigruppo e della segreteria è più complessa del previsto. La “gestione unitaria” è già una chimera se è vero – come è vero – che la segretaria vuole per sé entrambi i gruppi. “Boccia al Senato, Braga alla Camera” il ticket del Nazareno. Ma Bonaccini non ci sta. Non erano questi gli accordi. Se ne riparla all’inizio della prossima settimana. “Insieme con i membri della segreteria” è la promessa. Il problema è che Schlein non condivide con nessuno il dà farsi. Nessuno tranne, pare, Francesco Boccia.
Il risultato di tutto questo è che anche ieri le quattro opposizioni sono rimaste divise (tranne il Terzo Polo che ha condiviso alcuni punti con la maggioranza). E che Giuseppe Conte ha potuto fare il suo intervento (“ben costruito” si fa notare dal Pd) quasi fosse l’unico leader dell’area che va dal Pd alla Sinistra. Dal superbonus alla guerra in Ucraina fino alle case green passando per i migranti. “Signora Presidente – le ha detto Conte – le auguro di andare in Europa col piattino in mano come ho fatto io visto che sono tornato con 209 miliardi. A quel tempo lo riconobbe anche una parlamentare di Fratelli d’Italia, si chiama Giorgia Meloni”.
In questo contesto la premier ha fatto il solito comizio, intervento di mezz’ora (consegnato ieri) e replica di oltre 40 minuti. Con l’abilità retorica che le è riconosciuta. Al verde Bonelli che l’accusava di “aver prosciugato l’Adige in cinque mesi”, ha fatto notare che “no, mi spiace, non sono ancora Mosè”. Ancora una volta, però, l’ennesima, la premier ha perso l’occasione di mostrare umana pietà e di fare mea culpa rispetto alla tragedia di Cutro. “Basta calunnie e dire che abbiamo lasciato morire i bambini in mare…” ha detto accusando le opposizioni di “strumentalizzare i morti”. Ha fatto, ancora una volta, l’elenco anno per anno degli affogati dal 2013 ad oggi, “quelli certificati dall’Unhcr” fino a rivendicare che “da quando noi siamo al governo abbiamo il rapporto più basso tra morti e sbarchi”. Delle serie “siamo più bravi di chi ci ha preceduto a salvare vite”. Un elenco cinico e macabro che ha voluto ripetere anche Giovanni Donzelli, tornato ieri “in società” dopo il caso Delmastro-Cospito. Non parlava da allora il braccio destro di Meloni. Lo ha fatto ieri. Portando come un feticcio quella lista di morti in mare.
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