Le opposizione in ordine sparso sulla guerra
La litania di Giorgia Meloni sulla strage di Cutro: “Ho la coscienza a posto…”

“Ho la coscienza a posto” su Cutro. La presidente del Consiglio l’ha ripetuto anche ieri in Senato: per la terza volta in sette giorni. Che fine ha fatto la Giorgia Meloni capace, anche senza testo scritto, di un discorso ben ritmato, scandito da uscite efficaci ma varie, niente ritornelli sempre uguali, niente pappa riscaldata? Dopo tre settimane dall’omissione di soccorso nel naufragio delle decine di bambini morti a pochi metri dalla costa calabrese, la premier non sa dire nulla di più preciso di quel solito sbrigativo “ho la coscienza a posto”. Un’espressione vuota e incerta che giorno dopo giorno imprigiona Giorgia Meloni come una corazza troppo stretta.
L’ha usata una settimana fa al convegno dei gesuiti, ospite di Padre Antonio Spataro. Rapide occhiate sgomente tra alti prelati adusi ad argomentazioni più solide, racconta chi c’era. L’ha ripetuto il giorno dopo alla Camera per non rispondere alle domande di Riccardo Magi, il segretario di +Europa, che richiedevano invece risposte puntuali: “Ho la coscienza a posto, spero che chi mi attacca possa dire lo stesso rispetto alla mafia degli scafisti”. Quando a Palazzo Madama ieri è risuonata di nuovo incredibilmente la frasetta fatta, un rapido brusio tra i banchi dell’opposizione domandava se davvero non ci sia nessuno in giro in grado di curare meglio gli interventi della presidente del Consiglio. Giorgia Meloni, venuta a riferire in Senato su come intenda presentarsi al prossimo Consiglio europeo di giovedì e venerdì, dice che dall’Europa si aspetta “concretezza” sul dossier migranti. Cioè? Cioè “non possiamo attendere oltre, non possiamo rischiare un altro naufragio”. Come se avesse un senso incolpare l’Europa quando una barca ti naufraga a quaranta metri dalla costa e un bambino muore di freddo perché non c’è nessuno pronto ad intervenire nemmeno a riva, nemmeno a naufragio avvenuto. Persone sono morte perché non c’era nessun soccorso non soltanto in mare, ma nemmeno a terra: cosa c’entra l’Europa?
Ignazio La Russa, dall’alto del banco della presidenza, si alliscia la cravatta, guarda l’Aula tutt’intorno nascondendosi la bocca con tre dita, come incerto sul da farsi. Tra ministri e sottosegretari a far da corona nei banchi del governo, il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, il Supercognato, l’ultimo in basso a sinistra, sta seduto a gambe larghe come alla fermata dell’autobus. Sovrappensiero. Poi s’accorge, le accavalla. Giorgia Meloni, stretta tra Urso e Fitto, sale di tono. Sta attenta a non strillare. Parla di “ipotetico diritto a migrare”, ossia del diritto sancito dall’articolo 13 della dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio”. Sottoscritto da tutti i paesi firmatari, inclusa l’Italia. Se la prende prima con “gli Stati di bandiera delle Ong” che devono essere “pienamente coinvolti nelle operazioni Sar, si devono assumere la responsabilità delle operazioni che il diritto del mare attribuisce loro”.
Poi con tutti quelli che continuano a porre domande al governo dopo due naufragi evitabili, avvenuti una dopo l’altro, con 130 morti: “La battaglia politica, per chi ha idee credibili, si può condurre anche senza dipingere gli avversari come un mostro, anche nella più feroce polemica politica c’è a mio avviso un limite che non va mai superato ed è quello per cui colpire l’avversario significa anche colpire gli interessi nazionali, gettando ombre sulla nostra Guardia costiera, sulle nostre forze dell’ordine”. Alle parole “forze dell’ordine”, al solito, la destra tutta scatta in piedi per applaudire. Dice la presidente del Consiglio che con queste ombre “si finisce per danneggiare l’Italia ai tavoli negoziali”. Sull’invito al silenzio per amor di patria l’applauso si affievolisce. Riprende vivace, e inevitabile, quando la presidente del Consiglio annichilisce la senatrice piddina Rojc che dopo aver citato il naufragio di Cutro mostrando di saperne poco s’è lanciata in una spericolata citazione dell’“Io so” di Pierpaolo Pasolini, sulla colpevolezza anche senza prove. “In uno stato di diritto, senatrice, nello stato di diritto sono le prove che fanno i colpevoli”, la riprende la premier. Parla poi di “bugie sulle armi a Kiev”, tema del giorno sul quale la Lega, con il senatore Romeo, sottolineerà minacciose distanze dagli alleati di governo.
Il ministro Urso penzola da un’ora buona verso la premier, ormai si appoggia al bracciolo della sedia di lei che intanto definisce “ricostruzioni puerili” quelle di “chi dice che inviando armi togliamo risorse per i cittadini, visto che gli aiuti che mandiamo sono in gran parte risorse che il nostro Paese già possiede”. Omette un dettaglio: non lo facciamo a costo zero. Anche se diamo via le giacenze nei depositi delle forze armate, tutte le armi e le munizioni date all’Ucraina dovranno essere rimpiazzate. L’arsenale non può rimanere sguarnito. Armi e munizioni di vecchia produzione dovranno essere sostituiti con armi e munizioni nuove e più costose. Ettore Licheri, senatore Cinque stelle, l’ha ricordato in Aula ma la domanda è rimasta senza risposta. A sera è ancora furioso: “Affermare che le forniture di armi all’Ucraina non ha un costo per i contribuenti è una falsità inaccettabile. Ci sono anche costi tecnici e logistici per rendere queste armi operative e per trasferirle a destinazione. Forse la Meloni non ricorda le dichiarazioni del suo ministro degli Esteri Tajani che a fine gennaio diceva che fino a quel momento l’Italia aveva fornito all’Ucraina armi per circa un miliardo di euro. Un costo che oggi, con l’invio della batteria missilistica Samp-T, dovrebbe essere lievitato di almeno altri 250 milioni. Questo sarebbe il controvalore delle armi inviate finora e quindi, in teoria, il costo per il loro reintegro. Un costo solo parzialmente coperto dall’European Peace Facility, cofinanziato dall’Italia per circa 450 milioni di euro secondo le stime dell’Osservatorio Milex, quindi comunque con esborso di risorse nazionali. E il resto? Con quali soldi verrà ripagato? La Meloni deve venire in Parlamento e spiegarlo”.
Sull’invio di armi la maggioranza ha una mozione unitaria, che verrà votata. Le opposizioni no. Pd, M5S e Terzo Polo hanno ciascuno un proprio documento di indirizzo. Il regolamento del Senato prevede che se viene approvata la mozione di maggioranza sono precluse quelle mozioni sulle quali il governo ha espresso parere negativo e che quindi non vengono più messe in votazione. Sull’opposizione alle armi in Ucraina, Peppe De Cristofaro davanti a un caffè: “Sulla guerra il Pd sta ragionando sulla questione della soluzione diplomatica ma continua a dirsi favorevole sull’invio delle armi. Elly Schlein non credo possa alla Camera inventarsi qualcosa che le risolva in modo chiaro il problema perché nel Pd c’è una presenza larga di esponenti e parlamentari che sono su una posizione favorevole alla guerra. Lei personalmente si è espressa più volte sulla necessità di una soluzione diplomatica ma lei stessa non ha mai escluso che questa ricerca della soluzione diplomatica vada fatta contestualmente all’invio delle armi, mai in Parlamento ha votato in maniera difforme al suo partito sull’invio delle armi. Non l’ha mai fatto nemmeno prima, nemmeno quando non era segretaria”.
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