La premier si lamenta di “mezzo Parlamento che manda il governo al Consiglio europeo accusandolo di strage a Cutro”. Ma sbaglia il focus. Due volte: la prima perché le opposizioni sono cosi divise su tutto da presentare e votare quattro diverse mozioni, Pd, 5 Stelle, Terzo Polo, Sinistra; la seconda volta perché il vero problema di Meloni è presentarsi al Consiglio europeo di giovedì e venerdì con la sua stessa maggioranza spaccata come una mela. Una parte ha fatto outing ieri, senza e senza ma, direttamente in aula nella persona del capogruppo Massimiliano Romeo che nella dichiarazione di voto finale ha attaccato il governo sulla politica estera e nello specifico sull’Ucraina. “Contiamo su di lei Presidente Meloni perché insista sulla strada del dialogo”.

Un “saggio consiglio – ha proseguito – è quello di evitare escalation”. Guai, ha aggiunto, “alla dolce tirannia del pensiero unico”. Quindi, “nel comunicare il voto favorevole alla risoluzione della maggioranza, esprimiamo forte preoccupazione per come stanno andando le cose sul fronte della guerra russo-ucraina. L’obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio. Il problema non è il sostegno militare, ma una corsa ad armamenti sempre più potenti con il rischio di un incidente da cui non si possa tornare indietro”. Una vera e propria escalation di dichiarazioni “pacifiste” che spiazza la premier e la lascia “sola” nei banchi del governo del Senato senza neppure un rappresentante della Lega. Il sottosegretario Ostellari arriverà una volta che Romeo ha concluso l’intervento. Neppure l’ombra di un ministro. A cominciare da Salvini alle prese con ponti, infrastrutture e crisi idrica.

Alla viglia della riunione del Consiglio europeo di giovedì e venerdì Giorgia Meloni si ritrova così indebolita ma non dalle opposizioni. Bensì dal suo principale alleato. E questo non è un bel viatico per una riunione, a Bruxelles da cui palazzo Chigi si aspetta molto soprattutto sul dossier immigrazione. Giallo Lega, dunque. Ci vuole poco per capire che il problema è ben oltre le parole. La verità è che la Lega aveva scritto una diversa risoluzione. Tanto che su quella poi messa in votazione c’è “solo” la firma di Gian Marco Centinaio, il vicepresidente della Camera, fedelissimo di Salvini, ma non quella del capogruppo Romeo. Che ne aveva presentata un’altra. Un testo assai diverso di cui Il Riformista è entrato in possesso. Diverso sia per quella che riguarda l’impegno militare in Ucraina. Che sui dossier economici, patto di stabilità e transizione green.

Nella bozza della Lega, ad esempio, per limitarsi ai 12 punti a cui si vuole impegnare l’azione del governo, la bozza leghista parla di “favorire ogni iniziativa finalizzata alla cessazione immediata dei combattimenti” mentre quella di maggioranza votata in aula parla, in modo assai più blando, di “risoluzione del conflitto nel rispetto del diritto internazionale lavorando con la comunità internazionale nel quadro delle Nazioni Unite”. Romeo parla di “pianificare specifiche iniziative per la ripresa e la ricostruzione dell’Ucraina” perché ci mancherebbe solo che la ricostruzione toccasse, un domani, alla Cina e sarebbe il colmo. La risoluzione della maggioranza mette al primo posto il “continuare a far fronte alle immediate esigenze per la resilienza dell’Ucraina insieme agli altri Stati membri”. Nel testo della maggioranza si fa specifico riferimento a “Georgia e Moldavia per garantire loro l’ingresso nell’Unione”. La Lega non fa alcuna menzione dei due paesi che più di tutti nell’immediato rischiano/temono l’invasione dei carri russi.

Fin qui la parte “guerra”. Le differenze sono altrettanto sostanziali nella parte economica della risoluzione. Il punto 10, ad esempio, è stato totalmente riscritto. Si legge nella bozza leghista: “Nelle more di una riforma del patto di Stabilità che consenta di poter affrontare la transizione nel 2024 in maniera realistica e con obiettivi raggiungibili, il governo dovrà prevedere che le future regole fiscali promuovano gli investimenti in tutti i settori strategici, ambiente, digitalizzazione, difesa e natalità”. Sono dodici punti per cui si chiede al governo un “impegno specifico”. E in quasi tutti la Lega ha chiesto modifiche che non sono state accolte o solo in minima parte (come il passaggio “aumentare e garantire rimpatri efficaci” presente anche nel testo finale della risoluzione). Il dissenso quindi era non solo noto. Anzi, era scritto. In nome dell’unità di governo, è stato una volta di più messo da parte.

Tanto che, nei banchi della Lega, quando Centinaio e Romeo ieri era al Senato preparavano i rispettivi interventi – Centinaio nella discussione generale, Romeo nelle dichiarazioni di voto finali – si suggeriva loro in amicizia di preparare un testo scritto. Così da “evitare fraintendimenti” che su questi temi sono sempre in agguato. Centinaio l’ha fatto e ha detto quanto previsto. Quando ha preso la parola Romeo, i primi a tirarsi i pizzicotti sono stati gli stessi leghisti. “Constatiamo purtroppo che negli ultimi tre mesi ben poco è stato fatto specie sul cessate il fuoco e sulla tregua. Quindi, contiamo su di lei Presidente Meloni. La gente dice che lei è una tosta, spero non solo perché è andata al congresso della Cgil”. Romeo peggio di Patuanelli o Licheri, i pasdaran pacifisti di Conte. Giorgia Meloni non se lo aspettava. “Conta il voto e la Lega ha votato compatta” ha commentato il ministro per i Rapporti col parlamento Luca Ciriani. Ma è chiaro che non basta più il voto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.