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L’ergastolo e il diritto alla speranza del fine pena: qual è il messaggio nella condanna?
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È difendibile, come pena edittale massima, la pena dell’ergastolo? La Corte costituzionale (sentenza n. 264/1974) ha riconosciuto la legittimità della previsione della pena a vita, additando condizioni e limiti. È stata dichiarata illegittima per i minorenni (sentenza n. 168/1994). Assumo l’interpretazione della Corte costituzionale a premessa giuridica di riflessioni di politica del diritto. Venticinque anni fa avevo condiviso, come componente della Commissione presieduta dal prof. Carlo Federico Grosso, la quasi unanime proposta di abolizione dell’ergastolo. In tempi recenti ho più volte espresso una posizione favorevole al mantenimento dell’ergastolo come pena edittale, pur condividendo la presa d’atto delle criticità del fine pena mai, e l’idea del diritto alla speranza (la possibilità di un fine pena) per tutti i condannati.
La pena edittale a vita
Le ragioni del mio ripensamento sono legate a valutazioni concernenti non la pena ma la dimensione precettiva del diritto criminale, traduzione giuridica del principio responsabilità, principio fondante di un’etica della responsabilità. La presa di distanza dalle proposte di abolizione dell’ergastolo come pena edittale tiene conto della complessità dei problemi, e di ragioni contrapposte. Ci sono tipi di delitto la cui gravità oggettiva e soggettiva è così elevata che per il legislatore è ragionevole statuire la pena edittale massima possibile. In un ordinamento che ha messo al bando la pena di morte e lo splendore dei supplizi descritto da Michel Foucault, una pena detentiva molto severa può essere pensata come monito morale, mirato sull’estrema gravità di certi tipi di delitto. La pena edittale a vita è la pena massima pensabile, ma non come proclamazione di un fine pena mai: arrivare a un fine pena deve sempre restare una possibilità che il condannato può sperare (cui ha un diritto alla speranza) se recepisce il messaggio insito nella severa condanna. Nel linguaggio del nostro ordinamento costituzionale, è la prospettiva definita “rieducazione”.
Nei decenni della Repubblica un referendum abrogativo sull’ergastolo è stato seccamente respinto nel 1981. Una proposta di abrogazione fu approvata da un ramo del Parlamento negli anni ’90, ma non ha avuto seguito. In epoca recente, per i delitti puniti con l’ergastolo, il populismo penale all’inizio della XVIII legislatura ha escluso la possibilità di giudizio abbreviato, cioè della conseguente riduzione della pena (legge n. 33 del 2019). Una battaglia politica contro l’ergastolo come pena edittale sarebbe oggi, in un contesto segnato dal populismo penale, ad alto rischio di essere recepita e criticata come buonista. Per un impegno critico contro il populismo legato al penale è ragionevole cercare altre strade.
L’area di applicazione
Per la costruzione del sistema delle pene detentive, il problema della pena massima è un punto importante del messaggio politico. La minaccia legale dell’ergastolo è un messaggio che esprime una valutazione di estrema gravità di un certo tipo di delitto; in un ordinamento decente, è pensabile un’area di applicazione molto ristretta. Coerente con l’idea “rieducativa” sarebbe la riduzione al minimo (fino all’eliminazione) dell’ergastolo ostativo. Riterrei pure giustificato dal senso di umanità che anche il condannato all’ergastolo per delitti gravissimi possa non finire la sua vita in carcere.
Riguarda anche (e soprattutto) gli ergastolani e i condannati a pene lunghe la sentenza n. 10/2024 dalla Corte costituzionale: è contrario alla Costituzione un sistema che non consente ai detenuti un incontro con il proprio partner al riparo dallo sguardo di altri. Questa sentenza mette in discussione l’assetto materiale delle carceri, e mette in mora non solo il legislatore ma anche le istituzioni giudiziarie e l’amministrazione penitenziaria. Per una cultura giuridica liberale, un campo da esplorare. La tendenza attuale delle politiche penali va in direzione opposta alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale in materia di pena, complessivamente considerata. Sono le criticità della pena detentiva – su tutti i piani: legislativo, giurisdizionale, materiale – gli aspetti più problematici e più ingiusti di ciò che l’usuale retorica definisce giustizia penale. Riguardano non solo la pena massima, ma l’intero sistema.
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