La favola della liberazione condizionale
Voglia di ergastolo, l’irresistibile successo popolare del “fine pena mai”: 31/12/9999
C’è qualcuno, in questo Paese, disposto a scommettere un solo centesimo sulla utopia della abolizione dell’ergastolo? Non che siano poi così poche, in verità, le persone che almeno non restano indifferenti all’orrore insensato della data “31/12/9999” registrata sul certificato di detenzione di poco meno di duemila detenuti nel nostro Paese. Senonché la coscienza di molti di costoro viene subito rasserenata da una diffusa diceria, che ha assunto nel tempo una forza invincibile, secondo la quale, in concreto, in Italia l’ergastolo non esiste. Sconti grossomodo un quarto di secolo in galera e, se ti sei ben comportato, puoi guadagnarti la liberazione condizionale. D’altronde, non fu questo il ragionamento della Consulta quando, nel 1974, dichiarò la legittimità costituzionale della “pena perpetua”?
La favola della liberazione condizionale e l’ergastolo ostativo
Visto che anche all’ergastolano è in astratto concedibile la liberazione condizionale, ecco che quella pena tremenda, altrimenti in contrasto con il principio costituzionale della rieducazione, reca in sé la possibilità del riscatto. Poi guardi numeri e statistiche, e comprendi come la percentuale di ergastolani che beneficia della liberazione condizionale è irrisoria, anche per la banalissima ragione che non è che si viene tutti condannati all’età di vent’anni. E poi c’è l’ergastolo ostativo, che ti preclude ogni possibile beneficio. E poi è tristemente vero che chi abbia trascorso venticinque anni in carcere, magari iniziando la pena a quaranta, nemmeno saprebbe dove andare a spenderla, la libertà condizionata.
La volontà popolare
Insomma, le cose non stanno affatto come si crede, e tuttavia l’ergastolo è una idea sempre più popolare. La si invoca ad ogni passo, e la politica che la propugna e la vuole estendere ad altri reati viene premiata, nelle urne e sui social. Addirittura l’ergastolo non basta, se inspiegabilmente si scatena l’indignazione popolare verso quei giudici che, accogliendo in parte le “blasfeme” argomentazioni dei difensori (perciò solo aggrediti e minacciati), condannano sì Filippo Turetta all’ergastolo, ma lo assolvono dal reato di stalking ed escludono l’aggravante della crudeltà.
Fosse per la “volontà popolare”, l’ergastolo diventerebbe la pena principale da irrogare nelle aule giudiziarie. Siamo una società ormai irrimediabilmente avvelenata da una rabbia ed un odio inestinguibili, e perciò indisponibile a graduare, ad operare distinguo, a misurarsi con quella idea della finalità rieducativa della pena che, prima che nobile, è soprattutto una idea concreta di rafforzamento reale ed efficace della sicurezza sociale.
Insomma, il tema dell’ergastolo è, ogni giorno di più, un autentico tabù, un feticcio intoccabile, un corpo contundente da scagliare con rabbiosa indignazione verso ogni forma di devianza sociale. Ecco perché noi di PQM abbiamo voluto dedicare proprio al tema dell’ergastolo, ai pregiudizi ed alla disinformazione che da sempre – ed ogni giorno di più – lo accompagnano, questo numero di fine anno. Perché l’ambizione di questo nostro progetto editoriale, piccolo che possa essere, è quello scolpito nel sottotitolo che lo accompagna: “La giustizia che non vi raccontano”.
I temi della giustizia penale, insomma, sottratti – per quanto possibile – alla costante disinformazione, al pressappochismo ed alla ignoranza che troppo spesso li accompagnano nella loro quotidiana divulgazione. E certamente – non lo abbiamo mai nascosto – raccontati da chi crede, incrollabilmente, nei valori del diritto penale liberale e del giusto processo, della tolleranza, della fiducia nel possibile riscatto anche del peggiore degli uomini. Buona lettura, e buon anno nuovo!
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