Basta con il silenzio della politica
L’ergastolo va abolito: è disumano come la pena di morte
La campagna elettorale s’è conclusa e il Governo è in via di formazione. Allora, il tema dell’ergastolo e del carcere, anche in riferimento a ciò che ha scritto la Corte costituzionale ormai più di un anno addietro sull’‘ergastolo ostativo’, dovrebbero tornare a creare vivo dibattito. Così, però, non è.
C’è una forte voce che si contrappone al silenzio della politica: è quello dell’Accademia che – così come emerso da una ricerca condotta dall’Istituto di studi penalistici ‘Alimena’ dell’Università della Calabria diretto dal professore Mario Caterini – è contraria non solo all’‘ergastolo ostativo’, ma a qualsiasi forma di ergastolo. Del resto, già Aldo Moro definì l’ergastolo «fatto agghiacciante, crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte».
La giurisprudenza costituzionale, da anni, ha tentato di attutire la portata drammatica dell’ergastolo: «fin dalla sentenza n. 264/1974 la Corte costituzionale ha ritenuto l’ergastolo conforme a Costituzione, perché consente di reinserire socialmente il condannato qualora la sua condotta sia valutata positivamente – ha spiegato Sergio Moccia, professore emerito di Diritto penale alla ‘Federico II” di Napoli – e tale posizione è stata confermata nelle altre pronunce successive. Vi è una fallacia del ragionamento, perché in realtà si dice che l’ergastolo sarebbe incostituzionale se non desse spazio alla libertà, se non la rendesse possibile, ma il riferimento alla sola possibilità sta a significare che il giudizio è comunque negativo rispetto ad una pena che tolga per sempre la libertà ad un soggetto».
Per il professor Moccia, si dovrebbe capovolgere il ragionamento e affermare che l’ergastolo, di per sé, è contrario alla Costituzione «nella misura in cui può dar luogo ad un “fine pena mai”, e questo accade molto frequentemente». In realtà, la Corte ha ragionato in una visione polifunzionale della pena e «fa riferimento anzitutto alla prevenzione generale intimidatrice, poi alla retribuzione e potrebbe anche far riferimento alla prevenzione speciale negativa – chiarisce il Professore –; tutte concezioni della pena che nel contesto ordinamentale vigente, all’interno e in relazione al quale dev’essere agita una funzione della pena legittimamente perseguibile, già il riferimento alla prevenzione generale negativa significa l’inflizione di una sanzione particolarmente dura per fini di intimidazione generale, che va al di là della proporzione, perché deve costituire un deterrente. All’interno della Costituzione non vi è spazio per la prevenzione generale negativa, tanto più che la Carta costituzionale all’art. 27 co. 3 si esprime chiaramente per la c.d. rieducazione».
Intanto, molti sostengono che l’ergastolo non esiste più per la possibilità di accesso ad alcune forme di libertà. Così non è ed emerge dai dati del Garante nazionale dei detenuti, secondo cui negli ultimi anni solo il 7% dei condannati all’ergastolo è stato liberato, quindi il 93% resta sottoposto alla misura detentiva. Il monito dell’Emerito è chiaro: «attenzione alle sirene della liberazione condizionale e della semilibertà. Tutte le possibilità di liberazione astrattamente previste, se guardiamo ai dati recenti, nella prassi non è che abbiano una diffusività tale da far ritenere eccezionale l’ergastolo ‘reale’».
Allora, vien da sé chiedersi perché in Italia si circoscrive la questione all’ergastolo c.d. ostativo, se qualsiasi forma di ergastolo è illegittima perché contraria al dettame costituzionale. Per il professor Moccia «non ha senso questo distinguo sull’illegittimità delle diverse forme di ergastolo, secondo la regola algebrica del più che contiene il meno. Addentrandoci, la questione riguardante l’ostativo, si pone soprattutto in riferimento all’impossibilità della liberazione condizionale finché vi siano elementi tali da far ritenere collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica e così via. Sia la Corte europea sia la Consulta sul piano generale non sono contrarie all’ergastolo, ma ritengono che la pena debba essere riducibile, altrimenti si lascia il reo senza speranza, ovvero senza possibilità di inserimento. Dunque, il problema, secondo questa tesi, risiede nella sola vincibilità della presunzione, da intendersi relativa e non assoluta, superabile se il magistrato di sorveglianza ha acquisito elementi tali da escludere che il detenuto abbia collegamenti con l’associazione criminale o che vi sia il pericolo del ripristino di questi collegamenti».
S’è perso del tempo e chissà quanto ancora se ne perderà. «La Corte costituzionale ha scritto una pagina della sua storia di cui certo non potrà essere orgogliosa – commenta Moccia – Da una parte si assume la responsabilità di rinviare l’avvio di un percorso di libertà per chi ne avrebbe diritto e, dall’altro, si affida ad un legislatore che non pare avere molto a cuore le ragioni dello stato di diritto, e che potrebbe rendere ancora più ardua la via dell’abolizione delle norme in questione».
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